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domenica 24 luglio 2011

Tempus fugit:Un Flaiano a Roma un anno fa...





Ennio Flaiano nasceva a Pescara esattamente cento anni fa: il 5 marzo del 1910. Fu adottato da Roma, dove visse fino alla fine, nel 1972. E domani, venerdì 5 marzo, il Comune lo festeggia con una manifestazione nella Sala Pietro da Cortona dei Musei Capitolini, dove, a partire dalle 17, si alternano testimoni, intellettuali, critici e artisti italiani a ricordare lo scrittore, considerato ormai uno dei più grandi del Novecento italiano. Parleranno Lina Wertmuller e Carlo Lizzani, Mauro Canali e Mirella Serri, Paolo Mauri e Alain Elkann, Italo Moscati e Giosetta Fioroni, Raffaele La Capria e Daniele Protti, Giovanni Sedita e Giuseppe Giannotti. Vengono proiettati un video di immagini inedite di Flaiano a cura di Rai Storia e due interviste inedite a Giovanni Russo e a Tonino Guerra. Lino Capolicchio legge alcuni brani tratti dai suoi libri, che hanno quasi sempre la città come protagonista. A cominciare dal celeberrimo «Un marziano a Roma», parabola satirica dove Flaiano immagina che un marziano, sbarcato da un’aeronave a Villa Borghese venga prima accolto con grande solennità e ricevuto perfino dal papa e alla fine fagocitato dalla noia dei romani che lo sbeffeggiano convincendolo a ripartire.
E proprio da quel racconto, poi trasformato in spettacolo teatrale, trae origine il titolo della manifestazione per il centenario, «Un Flaiano a Roma. Centenario di un non-conformista», che prevede, oltre all’intervento di domani in Campidoglio, un omaggio alla casa del Cinema (largo Mastroianni 1), dove dal 5 all’8 marzo verranno proiettati film da lui sceneggiati, come «Villa Borghese» di Gianni Franciolini, «I Vitelloni», «8 e 1/2» e «Il Bidone» di Federico Fellini, «Parigi è sempre Parigi» di Luciano Emmer, «La cagna» di Marco Ferreri, «Fantasmi a Roma» di Antonio Pietrangeli, «La Notte» di Michelangelo Antonioni, «Tempo di uccidere» di Giuliano Montaldo, tratto dal romanzo con cui Flaiano aveva vinto il premio Strega.
Ma Flaiano, giornalista al «Mondo», fu vicino soprattutto a Fellini, nei progetti e durante la lavorazione di molti film, tra i quali «La dolce vita». In «La solitudine del satiro» (ed. Adelphi), il libro che raccoglie la maggior parte dei suoi scritti su Roma, annota nel giugno del 1958 il bozzetto di quello che sarà l’episodio più straziante del film e la nascita di un personaggio poi diventato mitico, il paparazzo: «Una società sguaiata, che esprime la sua fredda voglia di vivere più esibendosi che godendo realmente la vita, merita fotografi petulanti. Via Veneto è invasa da questi fotografi. Nel nostro film ce ne sarà uno, compagno indivisibile del protagonista. Fellini ne conosce il modello: un reporter d’agenzia, di cui mi racconta una storia abbastanza atroce. Questo tale era stato mandato al funerale di una personalità rimasta vittima di una sciagura, per fotografare la vedova piangente; ma per una qualche distrazione, la pellicola prese luce e le fotografie non erano riuscite. Il direttore d’agenzia gli disse. "Arrangiati. Tra due ore portami la vedova piangente o ti licenzio e ti faccio anche causa per danni". Il nostro reporter si precipitò allora a casa della vedova e la trovò che era appena tornata dal cimitero, ancora in gramaglie, e vagante da una stanza all’altra, istupidita dal dolore e dalla stanchezza. Per farla breve: disse alla vedova che se non riusciva a fotografarla piangente avrebbe perso il posto e quindi la speranza di sposarsi, perché s’era fidanzato da poco. La povera signora voleva cacciarlo: figurarsi che voglia aveva di fare la commedia dopo aver pianto tanto sul serio. Ma qui il fotografo, in ginocchio, a scongiurarla di essere buona, di non rovinarlo, di piangere solo un minuto, magari di fingere!, solo il tempo di fare un’istantanea. Ci riuscì. La povera vedova, una volta presa al laccio della pietà, si fece fotografare piangente sul letto matrimoniale, sullo scrittoio del marito, nel salotto, in cucina».
Ora si trattava di trovare a questo fotografo un nome esemplare «perché il nome giusto aiuta molto e indica che il personaggio "vivrà"». Non sapevano che inventare. Alla fine aprono a caso «Sulle rive dello Ionio», un libretto di George Gissing (Flaiano lo chiama Gessing), scrittore del tardo periodo vittoriano innamorato della Calabria. «Troviamo un nome prestigioso: "Paparazzo". Il fotografo si chiamerà Paparazzo. Non saprà mai di portare l’onorato nome di un albergatore delle Calabrie, del quale Gessing parla con riconoscenza e con ammirazione. Ma i nomi hanno un loro destino». A settembre la sceneggiatura della «Dolce vita» è pronta. «E cominciano i soliti guai - annota Flaiano - Il produttore rifiuta il film. Ha dato in lettura il copione a quattro o cinque critici che ora ci guardano desolati e scuotono la testa: la storia è scucita, falsa, pessimista, insolente: il pubblico invece vuole un po’ di speranza. "No" diceva Eliot "il pubblico vuole soltanto un po’ di spogliarello, ma quel che conta è ciò che riusciamo a fare alle sue spalle, senza che se ne accorga"».
Lauretta Colonnelli
«Corriere della sera», edizione romana, pagina 15
04 marzo 2010