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'Io stesso sono un anarchico ma di un tipo diverso'

Mahatma Gandhi

mercoledì 10 dicembre 2008

La classe dirigente


La notizia di oggi sulle accuse della Procura militare all'ex Generale della GdF Speciale, ora parlamentare del Pdl è scandalosa, ma non sorprende. Da quello che si è capito l'alto ufficiale, quando ricopriva l'incarico di Capo di Corpo, avrebbe utilizzato un aereo militare per trasferire alcune casse di pesce fresco (sic!), che nulla avevano a che fare con il presunto accompagnamento di un'alta autorità per scopi istituzionali.


Il Procuratore militare è un personaggio già distintosi in passato per alcune azioni giudiziarie eclatanti e noi siamo rigorosamente garantisti se attendiamo doverosamente l'esito del processo.


Però alcune considerazioni si possono già fare, sulla scorta della gravità delle informazioni pubblicate dalla stampa, che meritano peraltro di essere vagliate accuratamente, prima di trarre conclusioni definitive ed oltraggiose nei confronti degl'indiziati di reato.


Non c'è da stupirsi, comunque, se negli alti gradi della burocrazia e delle forze armate si riscontrano episodi di squallido malcostume, ma questo s'inserisce nel clima di assoluta disgregazione del senso dello Stato, che accomuna la classe dirigente alla classe politica che governa, sia di destra che di sinistra.


Purtroppo, casi di disfacimento dell'etica pubblica si accompagnano ad una disinvolta gestione del potere, a tutti i livelli e, quindi, non c'è da scandalizzarsi troppo su questi avvenimenti.


La partitocrazia genera simili mostri in tutte le strutture istituzionali (basta assistere all'indecorosa lotta fra le toghe negli ultimi fatti di Catanzaro e di Salerno) ed ormai la questione cosiddetta morale non può essere riferita ad uno schieramento in particolare.
Si pensi all'antagonista di Speciale, l'ex Ministro Visco, che, se ricordiamo bene, si era reso protagonista di alcuni abusi urbanistici.


L'assalto alla diligenza si sta generalizzando e, alla fine, rimarranno solo le povere vittime di chi ancora si ostina ad essere onesto, ma è inevitabilmente destinato ad essere stritolato dal sistema.


Una volta si diceva che la democrazia non vive senza un minimo di corruzione. Le parole di Clemenceau appaiono oggi grottesche di fronte allo spettacolo osceno delle nostre Istituzioni, sempre più utilizzate non per servire un interesse generale ma di parte o privato.
Povera Patria! E' il caso di dire.

martedì 28 ottobre 2008

Innovazione e conservazione


Il più grande ostacolo alla modernizzazione del nostro paese è dato, oggi, dalla pubblica amministrazione in senso lato (comprendendo in questo termine anche la scuola e la magistratura).

L'occasione per constatare, ancora una volta, una situazione ampiamente documentata, nel corso degli anni, si è verificata con gli scioperi della scuola e i lamenti di lesa maestà da parte del sindacato dei giudici.
E' bastato menzionare i tornelli, nel senso di auspicare maggiore produttività per tutti i dipendenti statali, per creare malumori e resistenze da parte delle varie corporazioni presenti anche all'interno del sistema statale.
Il ministro Brunetta non ha fatto che esplicitare l'esigenza di riformare radicalmente la macchina pubblica, da decenni oggetto di auspicio della maggioranza dei cittadini, per i quali non è una novità assistere allo sfascio consistente dell'apparato amministrativo, dall'istruzione alla giustizia.
Ora, ai tentativi di metter mano, anche con i tagli degli sprechi o della
cattiva gestione del denaro pubblico incontra invece resistenze forti, derivanti soltanto dalla volontà di mantenere intatta la situazione presente, che assicura benefici prebende privilegi e una sorta d'immunità, la quale consente di non essere ritenuti, mai o quasi mai, responsabili di errori e omissioni e di continuare a sfruttare vantaggi economici e no, che suonano come uno sberleffo o un insulto alla gente comune.
C'è un discrimine naturale, che si rende sempre più chiaro, man mano che le proteste si diversificano per settori, ma sostanzialmente rimangono tese alla conservazione dello status quo, ed è quello tra chi intende realizzare il cambiamento e chi non vuole mutare di una virgola la comoda posizione che occupa.

domenica 26 ottobre 2008

Un sardo emerito: Francesco Cossiga


Non solo Presidente emerito della Repubblica, ma emerito sardo, il senatore a vita Francesco Cossiga, in un'illuminante intervista concessa al gruppo QN, Il Giorno, La Nazione, Il Resto del Carlino, rispondendo alle domande di un illustre commentatore come Franco Cangini, ha tracciato un quadro del nostro paese e di quanto accade in questi giorni, senza reticenze o pregiudizi, senza titubanze o ipocrisie, ma semplicemente con chiarezza estrema ed acume brillante, da sardo colto, dotato di senso dello Stato, esperto della macchina politica, parlamentare e burocratica dell'Italia, esponendo valutazioni molto attente alla realtà sociale ed ai gravi rischi, che la nostra fragile comunità nazionale corre per il riaccendersi di polemiche ideologiche, le quali non aiutano certamente ad affrontare la grave crisi del momento, alla quale occorrebbe rispondere con spirito di concordia e volontà di riforme.


Cossiga è un sardo autentico, individualista, con lo spirito rivolto al futuro, ma ricco del patrimonio ideale della tradizione della propria terra.

Non è amante dei compromessi, è un anarchico celestiale, che crede nel cattolicesimo, nella religione della libertà e nella lealtà come regola di vita.


Ricordo ancora come celebrasse, qualche tempo addietro, la sua amicizia con Mesina e ne ricordasse il gesto d'amicizia nel porgergli il coltello dalla parte del manico, in segno di fiducia e stima, da uomo che aveva ampiamente saldato il proprio debito con la giustizia con grande dignità.


Chi l'avrebbe fatto tra i potenti, chi l'avrebbe sottolineato con parole dense di commozione di orgoglio?


Alcuni giorni fa, nel proclamare la sua solidarietà a Del Turco, non mancò di aggiungere che sarebbe andato a trovarlo in carcere, da amico, se l'avessero condannato quale responsabile dei fatti oggetto di accuse infamanti, peraltro ancora tutte da provare.


L'amicizia, la generosità, il senso di giustizia, la volontà di stare dalla parte del più debole, il rispetto della verità e della parola data, il coraggio morale.
Queste doti, che una volta caratterizzavano il sardo e che oggi, purtroppo, vanno diluendosi nella modernità ingannatrice della globalizzazione e del consumismo, sono la cifra più pregiata per Francesco Cossiga, il quale non cessa di farne uso e di distribuirla con aristocratica dovizia e senso dell'umorismo, con spiccata ironia ed orgoglio d'isolano antico.


Lunga vita al Presidente, che migliora ogni anno di più nelle sue qualità di uomo esemplare per i galantuomini ed i cittadini amanti del proprio paese e preoccupati del suo destino.

martedì 14 ottobre 2008

My funny Lambertucci




Rosanna Lambertucci imperversava in televisione, fin dalla nostra prima giovinezza.
Emula del divo Giulio, cui, si dice, fosse legata da filiale gratitudine, ha accompagnato i nostri passi dalla giovinezza alle soglie dell'età adulta.
Ha superato tutte le crisi istituzionali della nostra Repubblica e ieri ha nientemeno tenuto a battesimo nella sua sempiterna trasmissione, che crediamo si chiami tuttora "Più sani e più belli" il Prof Bernabei, gerontologo di chiara fama al Gemelli di Roma, e degno figlio di uno dei patron storici della Rai-Radiotelevisione Italiana, che generazioni e generazioni di telespettatori ricordano come il più vispo tra gli organizzatori di rete, Ettore Bernabei, a sua volta figlioccio, se non andiamo errati, dell'emerito democristiano e cavallo di razza politica purissima, quale fu il piccolo grande uomo Amintore Fanfani, personaggio singolarissimo, facondo, colto, ed influente, devoto cattolico di terra toscana.
Dall’inossidabile signora, lievemente somigliante alla celebre Barbie, ma pur sempre affascinante e carismatica, abbiamo appreso, nel corso dell'intervista con il giovane cinquataseienne gerontologo, fortunato marito, fra l'altro dell'altro mito del cinema degli anni sessanta, Sidney Rome, che tre sono le cose che fanno rimanere sulla breccia fino alla quarta età, per l'invidiabile traguardo dei cent' anni di vita.
Bere a colazione una spremuta d'arancia, mangiare, a pranzo, un trancio di pizza, fare attività fisica e sessuale per il resto della giornata...
Ma come si fa, direte voi, a conciliare pasti così frugali con la ginnastica da camera e no?
Misteri della gerontofilia.

venerdì 10 ottobre 2008

Addosso alla Carfagna !

"Non sottovalutiamo i recenti fenomeni di violenza. L'Italia è un Paese dalla forte tradizione cattolica. Perciò non vanno confusi gli atti isolati di pochi ignoranti con il sentimento della società italiana. Determinati fenomeni non debbano venire sottovalutati, né affrontati con superficialità."


Sono parole della Ministra Mara Carfagna, la quale da quando ha assunto iniziative piuttosto eclatanti, invocando in qualche occasione la cattolicità degli italiani, ha suscitato polemiche aspre e incandescenti, soprattutto per opera delle donne.



Ricordiamo tutti la squallida rappresentazione della Guzzanti, in piazza con i disobbedienti all'esordio del nuovo Governo, e le oscenità pronunciate anche contro la parlamentare della maggioranza.



Ora, le frasi surriportate hanno consentito di proporre ulteriori critiche, perché non sposano le tesi dell'opposizione e citano ancora una volta lo spirito cattolico della nostra popolazione e, quindi, la propensione all'ospitalità e alla tolleranza verso gli stranieri, che vengono invece negati dall'intellighenzia di sinistra.



E' strano come il fanatismo alligni negli ambienti laici e progressisti, degni eredi della rivoluzione giacobina, contro tutto ciò che non s'inquadra negli schemi mentali stereotipati della vecchia ideologia paramarxista, vera malattia infantile, che tuttora affligge gli eredi del sessantotto.



Se poi si scatenano odi razziali, per la dissennatezza di chi antepone al buon senso il fondamentalismo neo-illuminista, non soppesando adeguatamente le conseguenze, che le polemiche esasperate e dozzinali possono provocare, lo si è visto da poco con la povera Santanchè, la quale ha dovuto rifugiarsi tra le guardie del corpo, per non subire aggressioni, fomentate dai soliti spiriti rivoluzionari (da salotto).



A scoppiettanti performance antirazziste e di comodo, per dare addosso, comunque sia, alla compagine governativa si assiste ogni giorno.
L'ultima riguarda proprio la Carfagna, rea di aver pronunciato frasi equilibrate, per cercare di valutare obiettivamente la situazione legata alla violenza e all'immigrazione.



Siamo un paese razzista?
Io penso che, prima di emettere un giudizio, occorra guardare bene ai fatti e non farsi fuorviare dalla propaganda.



Allora, adelante con juicio.



Atteniamoci alla realtà e poi vediamo se, per caso, in Italia non vi sia un problema di sicurezza e di ordine pubblico, che non è legato né al colore della pelle, né a quello politico o di classe od area geografica.



L'immigrazione clandestina è o non è un problema?
La violenza nelle grandi città esiste o no?
Gli immigrati, bianchi o celesti, neri o gialli che siano, sono tutte anime innocenti o, siccome sono immigrati, per ciò stesso, devono essere giustificati in tutto ciò che fanno?



Finora, come lo struzzo, qualsiasi governo della seconda repubblica ha sostanzialmente fatto finta di nulla: non ha regolato il fenomeno, non ha impedito che degenerasse, ma ha consentito che dilagasse, inquinando lo stesso mercato del lavoro, con sfruttamenti ed abusi di ogni sorta, proprio a danno dei più deboli.



Io vorrei vederci chiaro, prima di emettere sentenze contro l'italiano, cattolico o no, definito razzista, magari, per pura strumentalizzazione ideologica contro la maggioranza al potere.



Quanto alla Carfagna, non mi pare abbia detto parole banali o superficiali. Per quanto bella, non è un'oca.


La chiesa cattolica, poi, mi pare l'istituzione che, fino ad oggi, si è schierata a favore degli immigrati, invocando maggiore comprensione ed apertura da parte dei soggetti pubblici e privati. Ma, in un momento in cui i problemi dell'occupazione diventano urgenti per il paese, non si può fare a meno di notare, come del resto sottolineava Marcello Foa, in un recente articolo post, sul suo blog, che la pressione dell'immigrazione, in aumento costante, provoca problemi assai gravi e delicati di compatibilità economico-sociale nella nostra comunità nazionale.



Un'ultima considerazione. Gli attacchi più velenosi contro la Ministra provengono da donne. Che una tale virulenza sia determinata anche dall'istinto di competizione femminile ?
Vuoi vedere che se si fosse trattato di una rappresentate del gentil sesso meno graziosa ed avvenente, si sarebbero lanciati meno aculei contro di lei?

giovedì 9 ottobre 2008

Etica bancaria


Vittorio Feltri definisce irresponsabile il nostro sistema bancario, che dopo lo scandalo della Parmalat ha continuato ad ingannare i risparmiatori voltando la faccia all'insegnamento che i bond avrebbero dovuto impartire per primi ai dirigenti delle banche.

Essi si sono ben guardati dal cambiare atteggiamento nei confronti dei clienti e dei consumatori. Hanno anzi insistito sulla linea all'indebitamento, riducendo in schiavitù i piccoli utenti ai quali si sono praticati mutui esorbitanti per la crescita progressiva degli interessi.

Ci chiediamo se esista un'etica bancaria e se i rapporti sempre più dominati dall'inganno nei confronti del comune cittadino siano comuni al nostro paese e al Giappone, dove pare esistere un clima diverso nelle relazioni tra istituzioni pubbliche e private ed un patto di lealtà con il singolo e la comunità.

Siamo degli ingenui o la differenza dei costumi influenza anche l'economia di quella nazione?


Ci auguriamo che sussista anche in questo campo una diversità sostanziale tra l'Italia e l'impero del sol levante, che consideriamo da sempre un contraltare ai difetti e alle storture del cosiddetto bel paese.

martedì 7 ottobre 2008

Vade retro Benigni!


Non bastava lo spettacolo oceanico della piazza fiorentina, durante le serate dedicate alla lettura della Divina Commedia di Dante, rendendoci inequivocabilmente allergici al grande poema (da noi coltivato amorevolmente, ai tempi del liceo, con l'accompagnamento, passo passo, del celebre e inappuntabile commentario del Buti, per rendercelo più chiaro ed apprezzabile sotto il profilo storico-letterario), purtroppo ridotto ad uno show popolare di dubbia qualità ed ancor più incerta comprensione per un pubblico impreparato ed incolto, sprovvisto di qualsivoglia spirito critico, che consenta di discriminare la nobile poesia dalla plebea selezione delle veline.
Non era difficile immaginare che i geni della TV di Stato avrebbero ritentato l'impresa, per allargare l'audience di scarso respiro delle proprie emittenti, con un'altra opera, alla quale andrebbero dedicate letture personali, scelte con ben più profonda riflessione e spessore intellettuale, di quanto non sia l'ascolto passivo e massificato, le messe in scena di dubbio gusto nel volgare cocktail di santa romana chiesa con l'esibizione di guitti o giullari, i quali nulla possono dare per valorizzare testi di sacrale regalità come la Bibbia.
C'è poco da sperare nel progresso intellettuale della nostra gente, facendo ricorso a mezzi di basso imbonimento imitando maldestramente usi di altre contrade, inadeguati ad arricchire o ridestare la spiritualità del singolo. Quanti clienti degli alberghi nostrani hanno preso in mano o leggiucchiato il Vangelo posato accanto al letto d'albergo alla maniera dei paesi anglosassoni?

Quanti neofiti o nuovi attenti lettori guadagnerà l'iniziativa televisiva di massa, pur con l'alto patrocinio del pontefice, per capire nelle sue varie sfaccettature, amare e seguire la parola del Signore da una lettura cooperativa ed improbabile di attori o personaggi noti, che, con tutto il rispetto per le esperienze acquisite in altri campi, sono interpreti fuori ruolo per la grandezza del testo e dell'insegnamento in esso racchiuso?

Per parte nostra, da laici ed agnostici, ancora una volta diciamo vade retro Benigni. Il suo intervento ha l'indesiderato, ma indubitato effetto di farci allontanare dalle Sacre Scritture.

giovedì 2 ottobre 2008

Fede e canzonette


Come meravigliarsi della crisi delle vocazioni religiose, se succedono episodi come quello di Livorno?

Il vescovo di quella città, durante la messa domenicale, ha citato Jovanotti ed alcune strofette di una sua canzone, assurta, non si sa come, a fonte di dottrina ecclesiale.

Qualcuno dirà che l'episodio va visto nel suo contesto e che il canzonettista è stato menzionato, quale termine di confronto, per indicare la via più elevata della ricerca della verità e del rafforzamento della fede, ma a noi portare l'esempio di un cantautore, ci è parso come far entrare il cane in chiesa.
Anzi, il fedele amico dell'uomo, a dispetto delle restrizioni in materia, avrebbe più diritto di entrare in parrocchia dei vaniloqui musicali, inequivocabile segno di debolezza e confusione teologica.

Il sacerdote, a corto di argomenti, ha voluto dimostrare ai fedeli quant'è moderno ed attento alle ansie e ai desideri del mondo giovanile, così ben espressi nelle cantilene di Lorenzo Cherubini, (sarà stato il cognome ad ispirate il prelato?), non rendendo così un servigio alla sua religione, bensì all'audience e alle tasche del cantante, che non ha bisogno né di pubblicità, né di sussidiarietà.

Andate a a chiedere ai musulmani se episodi del genere si sono mai verificati all'interno delle loro moschee.

mercoledì 1 ottobre 2008

Bulimia di parole





Filippo Facci, lamenta l'abuso di parole: contribuiscono in maniera irrilevante alla formazione dell'opinione pubblica.


Ci pare di poter aggiungere che se l' inflazione del linguaggio genera soltanto inconsistenza verbosa, la gente comune è anche scarsamente informata per mancanza di autentici approfondimenti.


Sopraffatti dalla bulimia di lingue ed immagini che hanno il sopravvento sui fatti e sui contenuti.


Ormai non importa a nessuno chi ha detto e chi si è contraddetto.Conta il momento in cui dici e fai. Dopo, non si ricorda più nulla e comunque non serve granché.


La coerenza è la virtù degl'imbecilli...si ripropone come viatico per chi avrebbe il dovere dell'obiettività: uomini pubblici, opinion maker, sociologi, filosofi, intellettuali in genere.


L'incoerenza è la regola, l'istante domina su tutto.


Facci si
chiede pure se la situazione sia un'eredità di vecchi regimi politici, un connotato della civiltà contemporanea ovvero un vizio costituzionale dell'Italia.

Abbiamo paura che questo male sia il contrassegno della cosiddetta civiltà moderna e contemporanea.

Ma, in Italia, più che in altri paesi, la confusione regna sovrana ed è più difficile, persino, individuare a chi faccia capo lo spin, cioè la disinformazione programmata da parte dei gruppi di potere per influenzare a proprio vantaggio i cittadini, com'è avvenuto negli Usa con il flagello dei mutui bancari subprime.
C'è, inutile negarlo, una caratteristica peculiare legata alla ricerca del vero.E' quella che espresse icasticamente l'arcitaliano Curzio Malaparte, quando scrisse che, in questa nazione, la verità ( sì, proprio quella) è come l'onore delle puttane.

domenica 28 settembre 2008

"Tra il sonno e il sogno"

Tra il sonno e il sogno
tra me e colui che in me
è colui che suppongo,
scorre un fiume interminato.
E' passato per altre rive,
sempre nuove più in là,
nei diversi itinerari
che ogni fiume percorre.
È giunto dove oggi abito

la casa che oggi sono.
Passa, se io medito;
se mi desto, è passato.
E colui che mi sento e muore

in quel che mi lega a me
dorme dove il fiume scorre –
questo fiume interminato.

Ovviamente, la poesia non è mia. "Tra il sonno e il sogno"è di Fernando Pessoa.
La sua lettura può servire a distinguere, nell'impermanenza del vivere quotidiano, ciò che vale da ciò che non vale.
E a concentrare l'attenzione sul filo d'erba ..., più che sulla menzogna e l'ipocrisia, le false illusioni e le inutili aspettative dell'apparenza.


sabato 27 settembre 2008

"Stanchezza"


Quello che c'è in me è soprattutto stanchezza non di questo o di quello

e neppure di tutto o di niente:stanchezza semplicemente, in sé,stanchezza.

La sottigliezza delle sensazioni inutili,le violente passioni per nulla,gli amori intensi per ciò che si suppone in qualcuno,tutte queste cose -queste e cio' che manca in esse eternamente -tutto ciò produce stanchezza,questa stanchezza,stanchezza.

C'è senza dubbio chi ama l'infinito,c'è senza dubbio chi desidera l'impossibile,c'è senza dubbio chi non vuole niente -tre tipi di idealisti, e io nessuno di questi:perchè io amo infinitamente il finito,perchè io desidero impossibilmente il possibile,perchè voglio tutto, o ancora di più, se può essere,o anche se non può essere...E il risultato?

Per loro la vita vissuta o sognata,per loro il sogno sognato o vissuto,per loro la media fra tutto e niente, cioè la vita...Per me solo una grande, una profonda,e, ah, con quale felicità, infeconda stanchezza,una supremissima stanchezza,issima, issima, issima,stanchezza...

Alvaro de Campos(Fernando Pessoa)

Amare il finito, il possibile, quel che può essere...Pessoa non si dichiara idealista come gli appartenenti alle tre categorie indicate nelle strofe precedenti.
A scrutare la realtà e quello che non può essere si finisce ad accusare stanchezza e a sentirsi felici della scoperta?

Che cervello bizzarro e capriccioso potrebbe dire qualcuno, come già sottolineò il Vasari nei confronti del pittore rinascimentale ed eterodosso Durer.
Oggi si riconosce a Durer come del resto ad Arcimboldo la qualifica di rivoluzionari", in quanto non ortodossi e non allineati con il pensiero dominante del loro tempo.
Penso che sostanzialmente tale definizione possa attagliarsi anche a Pessoa, un personaggio enigmatico, affascinante e geniale, non integrato nella società dell'epoca, già in cammino verso la triade Ragione, Progresso, Uniformità.

Si deve ad Antonio Tabucchi il merito di aver reso noto lo scrittore e poeta portoghese in Italia ed in Europa.
Un uomo singolare, geniale nell'analisi dell'animo umano, della perdita d'identità nella società massificata, dal carattere malinconico e fatalista che affondava le sue radici nell'Africa lusitana.

giovedì 25 settembre 2008

L'anarchico Pessoa



(I know not what tomorrow will bring... )
Ritorna in libreria "Il banchiere anarchico" di Fernando Pessoa, un racconto lungo, nel quale si rintracciano le idee principe dello scrittore e poeta portoghese, considerato tra i massimi del novecento.
Pessoa
nacque anarchico, ma, nel corso della vita, dovette aggiornare la propria posizione libertaria di carattere assoluto, facendo i conti con la realtà, vale a dire con l'osservazione penetrante, lucida e pessimistica, della società e della natura degli uomini.
Fino al punto di considerare il conservatorismo come la via più consona, per mantenere intatto e praticabile il proprio anarchismo delle origini.
Provando a rileggere le pagine del libro, si ricavano concetti difficilmente revocabili in dubbio anche per il tempo presente.
Un breve esempio è dato dal seguente passo:
“Il vero male, l’unico male, sono le convenzioni e le finzioni sociali, che si sovrappongono alle realtà naturali – tutto, dalla famiglia al denaro, dalla religione allo stato. Si nasce uomo o donna – voglio dire, si nasce per essere, da adulti, uomo o donna; non si nasce, a buon diritto naturale, né per essere marito, né per essere ricco o povero, come non si nasce per essere cattolico o protestante, o portoghese o inglese”.

lunedì 22 settembre 2008

Tutto è bubbola?



Il dilemma non è nuovo.

Il mio blog non è proprio recente e quindi posso parlare con cognizione di causa.

Dovrei indispettirmi quando le mie opininioni sono clonate o parafrasate, riconoscendo corrette ed appropriate, adeguate e congrue, almeno implicitamente, le mie osservazioni?
No.
Mi prendo la soddisfazione di vedere confermate le mie intuizioni e tanto mi basta.
Non ho intenzione di apparire ed esserci a tutti costi.

Le rassegne, le passerelle, gli show li lascio agli altri, ai narcisisti di professione, convinto come sono che le esibizioni servono a poco.
Tanto rumor per nulla si potrebbe dire, riecheggiando il titolo di un'opera di Shakespeare.
A proposito del quale, en passant, udite udite, si dice che fosse cattolico, ma non potesse dichiarare liberamente la sua fede, per paura delle ritorsioni del potere.
E'incredibile come il mondo, mutatis mutandis, non cambi sostanzialmente mai.

Sarà vero?

C'è da dubitare di tutto.

La mia fortuna consiste nel fatto che, con l'esperienza e il trascorrere degli anni, mi vado convincendo quanto sia vana l'esistenza e la ricerca dell'assoluto, secondo i criteri impartiti dalla scienza o dalla filosofia, ad uno sguardo non miope, ad occhi che vogliano vedere lontano e spaziare su piani diversi, regioni inesplorate, accogliere nuove prospettive, abbandonando l'abitudine e la pigrizia.

Credevo, di essere il centro dell'universo e niente è più ingannevole dell'universo.
Quando si ritiene di averlo compreso, sfugge di mano come sabbia.
Non si riesce a trattenere neppure un granello della vita e quando ci si rende conto di essere solo un pulviscolo dell'infinito, vagante nell'atmosfera in cerca di posarsi in qualche punto immoto, ecco che tutto il resto, quanto è fondato sull'apparanza di sé e la presunzione del proprio io è solo una grande, avvolgente ed ingannevole, bubbola.

sabato 20 settembre 2008

Lettera a Marcello Veneziani


"La guerra delle parole"
Caro Veneziani,
Lei si è indignato con Gianfranco Fini, indicandolo come un voltagabbana, che non rappresenta più la destra per il proclama steso alla festa di Azione Giovani e lo ha fatto con un rovente articolo apparso su Libero, il quotidiano di Vittorio Feltri.


Sull'analisi dell'evento non sono d'accordo e spiego perché.


Purtroppo l'area moderata ha perso, da tempo, quella che Mario Tedeschi definiva "la guerra delle parole" ed, oggi, Fini non fa che adeguarsi: antifascista è sinonimo di democratico, mentre ancora anticomunista è sinonimo di fascista.
E' bastato che Alemanno distinguesse tra razzismo e fascismo o che il neo-Ministro della difesa ricordasse tutti i caduti della guerra civile e no, perché si scatenasse il putiferio sulla stampa ed i media di regime, nonostante la stragrande maggioranza degl'italiani sia perfettamente convinta che "la destra" non ha nulla da spartire con il ventennio mussoliniano, vera autobiografia della storia.
E allora che deve fare un "povero Presidente della camera", il quale, neppure anagraficamente, può essere definito "fascista", se non proclamarsi "antifascista", indicando la nuova strada a tutta Allenza nazionale, compresi i suoi giovani militanti?


Duole rilevare, sempre per la sconfitta, sul piano propagandistico, del centrodestra, che il Partito democratico "non ha passato le acque" e non ha necessità di proclamarsi "anticomunista", per essere legittimato a governare e può tranquillamente allearsi, addirittura, con gli eredi dichiarati del comunismo e del marxleninismo.


Speriamo soltanto nel lavoro degli storici autentici ed in una riforma della Costituzione, fin troppo viziata dai tabù dei cnl, per ristabilire, in futuro, un maggior equilibrio antitotalitario ed il rispetto della verità.


Certo, un atteggiamento meno conformista, per affermare il rispetto dei princìpi liberaldemocratici da parte di un leader della destra moderata e libertaria, conservatrice o tradizionalista che sia, sarebbe stato auspicabile.


Ma, come don Abbondio, se uno il coraggio non ce l'ha...


Auspichiamo piuttosto un "gramscismo" di segno opposto a quello praticato finora, con successo, dai vetero-comunisti e loro discendenti, grazie al prolungato monopolio dell'industria culturale, con il nuovo "Popolo delle libertà", al servizio della democrazia sostanziale, della libera circolazione delle idee e del sapere non inquinato da ideologismi.


Ed auguriamoci, anche, con l'aiuto di "Libero", di mettere al bando i troppo zelanti neofiti, replicanti e cortigiani, di casa nostra, pronti a genuflettersi, pur di non perdere la poltrona, o le prebende, di fronte a qualsiasi potente, grande o piccolo che sia.

venerdì 19 settembre 2008

Van Gogh e il Giappone






Silente geisha un filo d'erba sente soffio del vento.

Nel primo volume "Sugli orienti del pensiero", l'autrice, l'illustre estetologa, Grazia Marchianò, descrive "la natura illuminata" e cita, nell'indicare i rapporti tra l'artista e l'oggetto da rappresentare, il pittore folle Van Gogh, il quale soffermava la sua attenzione sul filo d'erba, per giungere poi alla comprensione della vita e dell'universo intero, secondo l'insegnamento religioso - estetico del Giappone, che concepisce l'esistenza dell'uomo come parte della natura.


Colpisce come un artista definito pazzo possa aver espresso un'idea talmente profonda, da inserirsi a pieno titolo nella larga messe di riflessioni filosofiche e dottrinarie, che caratterizzano la comprensione della speculazione intellettuale orientale.

Erasmo aveva scritto un "elogio" di questa stravagante deriva della mente, la quale, attraverso "la dissennatezza", poteva giungere ad esiti di tutto riguardo, per l'intuizione della verità.
Mi pare che il genio di Van Gogh testimoni appieno questo percorso.

Ecco il brano illuminante del pittore, tratto da una lettera del 1888 diretta al fratello Theo:

Studiando l'arte giapponese, si vede un uomo, indiscutibilmente saggio,filosofo e intelligente, che passa il suo tempo a far che?A studiare la distanza tra la terra e la luna? No.A studiare la politica di Bismarck? No.A studiare un unico filo d'erba. Ma quest'unico filo d'erba lo induce a disegnare tutte le piante, e poi le stagioni e le grandi vie del paesaggio e infine gli animali e poi la figura umana.Così passa la sua vita e la sua vita è troppo breve per arrivare a tutto.Ma insomma non è una vera religione quella che c'insegnano questi giapponesi così semplici e che vivono in mezzo alla natura come se fossero essi stessi dei fiori?

domenica 14 settembre 2008

BlogFest e lobby








Alla "BlogFest" di Riva del Garda se ne vedono di tutti colori.
Il Potere non può fare ameno d'ignorare il fenomeno globale dei blog e quindi deve, in qualche modo, attestare la propria attenzione verso un fenomeno non facilmente controllabile e dominabile, sebbene la tendenza all'omologazione si faccia strada anche in questo settore, grazie all'istinto gregario, latente in molti blogger, il quale porta all'aggregazione ed al lobbismo, alle nuove corporazioni, ai gruppi di pressione, al condizionamento psicologico ed al soft mobbing , in grado di orientare idee e comportamenti, mettendoli, se possibile, al servizio dell'establishment, nel quale ha spazio rilevantissimo il monopolio telematico.
Franco Bernabè, a similitudine di Obama al congresso del partito democratico negli USA, si presenta a Riva del Garda e graziosamente concede se stesso, la visibilità del suo gruppo, a partecipare al dibattito, rispondendo alle domande di alcuni interlocutori pre - selezionati tra i presenti all'evento, ed esprimere così il volto moderno, accattivante della sua società, già apprezzata, nel tempo, per significative ragioni di eterodossia, manifestata, in campo nazionale ed internazionale, nei settori piu sotterranei della politica e dell'economia.
E che succede?

Vorremmo sbagliare, ma l'impressione è che i qualificatissimi rappresentanti dei succitati coagulatori di blog, quelli che, a loro volta, tramite solidarietà pelose ed arruffianamenti istituzionali, si pongono riverenti e paghi al di cotanto personaggio, quasi fosse un Obama all'amatriciana, ovvero un'altra madonna apparsa nella città trentina come capitò ai fedeli salmodianti o a quelli in pectore, a Civitavecchia o a Medugorie.

"Grazie Franco, benvenuto tra noi, sei grande e democratico, e non faremo nulla per cambiare te ed il grande fratello, del quale sei legittimo erede con la tua inimitabile società per azioni", sembrano ripetere, da soli o in coro, tanti fieri campioni d'anticonformismo parolaio e bloggarolo.

Meditiamo su quest'aspetto dei meeting organizzati da rampanti opinionisti del web, più o meno in buona fede, con legami sottili con la grande stampa, i media, la telefonia mobile e fissa, i cosiddetti "poteri forti" e cerchiamo di sottrarci al richiamo del branco.

Domandiamoci quanti affari si fanno a Riva del Garda e quanta autentica voglia di libertà ci sia tra questi nuovi santoni, che si fanno in quattro per accogliere, con smodati inchini, i potenti piccoli e grandi, del nostro stravagante paese, magari rendendosi disponibili, con la loro riverenza, ad accettare di corsa un posto, che assicuri loro non solo il biblico piatto di lenticchie, ma anche pane, companatico, dessert e benefit vari, sempre pronti a contestare con licenza delli superiori.
A loro, blogger o no, ripetiamo uomini siate e non pecore matte.

martedì 2 settembre 2008

Tucci ed il buddhismo


Una volta era privilegio di pochi definirsi buddhisti. Una certa ritrosia condizionava la scelta di dichiararsi di una religione diversa dalla cattolica, anche tra le personalità di rango.
Oggi c'è per fortuna maggiore libertà di culto e non culto.
In compenso è aumentata la confusione.
Quando uno studioso come Tucci (stando a quanto riferiscono i suoi allievi) affermava di essere diventato buddhista per seguirne la dottrina etica, in quanto, in questo modo, era tutto “più semplice e si sentiva più libero”, in realtà non indicava una via spirituale, una speculazione profonda del pensiero, ma un’opzione tra le varie morali.
Ora, da un personaggio di tale levatura, che ha fatto conoscere in Occidente, fra l’altro, il Tibet ed il suo spirito religioso, conducendo ricerche benemerite e dirigendo l’Istituto per L’Asia e l’Africa, uno strumento di collaborazione ed amicizia, oltre che di affinamento di conoscenze culturali tra l’Italia e l’Oriente, ci si sarebbe aspettato di più nei riguardi di lettori ed ammiratori, i quali, conservando ampia libertà di condividere idee, giudizi, valutazioni, si attendono peraltro contributi di valore scientifico, più che la descrizione di episodi legati ad esperienze personali, da mantenere, più correttamente, in un ambito riservato, in quanto nulla aggiungono al patrimonio intellettuale ereditato dal Maestro.
Ma tant'é.
Non bisognerebbe confondere la vita privata con quella pubblica, proprio per non dare adito ad equivoci, ambiguità, distorsioni.
Ed invece spesso s'intersecano i due aspetti e si dà luogo ad un quadro non propriamente compiuto del soggetto, né dei risultati acquisiti dalla sua operosa attività, con il rischio di sminuirne il valore e l’immagine per rendere noti piccoli eventi, cronachette di scarso rilievoo aneddoti comunque legati ad aspetti particolari della sua vita e personalità, più adatti a chiacchiericci da salotto che non a panorami estesi o alte vette di montagna, cioè i luoghi preferiti dell’autore.
Ancora oggi, c'à chi interpreta il buddhismo come una raccolta di norme comportamentali, sostanzialmente svincolato da una visione religiosa e chi lo vive come ideale mistico.
Senza considerare che per molti seguaci occidentali è una sorta di via consolataria ai mali delle società progredite economicamente od anche un'attrattiva intellettuale o perfino una moda.
Non penso, comunque, per chiunque segua, con intima convinzione, le regole del buddhismo, anche soltanto come insegnamento morale, sia senza ostacoli e difficoltà applicarne i precetti.
La semplicità in questo campo non
esiste.

venerdì 29 agosto 2008

Delicatezza


E' un termine scarsamente utilizzato quando si parla di rapporti umani, ormai.
Ci sono uomini e donne delicati, riferendosi ad una certa qualità d'animo.
Ma se ne parla sommessamente, quasi ad indicare una parola compromettente o poco corretta.
Naturalmente a tutti può capitare di essere, a volte, poco delicati, nei confronti dell'altro o degli altri.
La dote, frutto dell'educazione, della sensibilità maturata nel tempo, ma anche di attitudine spontanea, ha poco a che fare con la cultura.
Anzi spesso sono le persone definite colte ad esserne sprovviste, quando il senso di sé prevale su tutto il resto e si pensa di possedere la verità.
Quando si commettono errori di valutazione e comportamento, esse non se ne avvedono o non se ne danno conto, reputando che siano gli altri a doversi emendare.
Se si è delicati, si è scrupolosi e, prima o dopo, ci si accorge di aver sbagliato e si cerca di rimediare.
Altrimenti, l'indelicatezza non si nota neppure.

domenica 24 agosto 2008

I nostalgici dell'ancien regime



Non è facile vedere riuniti tanti personaggi illustri come è accaduto a "Cortina incontra" per dibattere un tema importante come la democrazia.
Chi avrebbe pensato di sentire alcuni professori universitari e politologi molto noti come Fisichella e Pasquino, Passigli e Panebianco, moderati da un ex ministro come Cirino-Pomicino, detto Geronimo, sotto la guida dell'ineffabile Enrico Cisnetto, uno degli organizzatori di tal genere di appuntamenti culturali nella degna cornice della celebre località turistica?
E' accaduto ed ha messo in luce come per la maggior parte di questi convenuti illustri e benemeriti, ormai, lo sguardo debba rimanere fisso al passato, come stagione quasi pefetta, per esprimere classi dirigenti insuperate, in confronto all'attuale mediocrità della classe al potere attualmente in Italia.
Non abbiamo né il tempo né la voglia di approfondire gli argomenti piuttosto banali, esposti dai cattedratici e dall'ex ministro, ma abbiamo notato che, ad eccezione di Panebianco, essi sono semplicemente dei nostalgici della prima Repubblica, caduta sotto i colpi di "mani pulite", nate, non per caso, dalla corruzione generalizzata di quasi tutti i partiti al potere a quel tempo.
Piangere il morto non era proprio il caso, anche se per gl'intervenuti c'era un motivo d'orgoglio personale a non voler accettare la situazione presente, caratterizzata da una società politica in movimento, dopo la distruzione delle ideologie e dei partiti del passato.
Avevano per lo più perso il cadreghino di onorevole o senatore alle ultime elezioni.

giovedì 21 agosto 2008

I grandi spiriti




Se non andiamo errati era Niccolò Machiavelli che la sera, al termine della sua giornata di lavoro, smessi i panni della fatica, s'intratteneva in piacevole colloquio con qualche grande spirito dell'antichità, per rinnovare ed arricchire il proprio animo, immerso fin troppo nelle dure tempeste della politica e nelle inevitabili compromissioni delle relazioni interpersonali, nelle ore precedenti.
Ma tutti capiscono la differenza tra un dialogo in latino con Tito Livio, ancora possibile al tempo dello scrittore fiorentino e quello che a noi post-moderni è dato intraprendere pur con i mezzi tecnologici avanzati, messi a disposizione del progresso, come TV o Internet.
Provate ad entrare in contatto con i mostri contemporanei del giornalismo o della letteratura o del mondo universitario, anche soltanto assistendo in diretta a "Cortina Incontra"e vi accorgerete subito che i dialoghi non sono più possibili.
Prendete un qualsiasi guru contemporaneo e fatelo parlare con altri tre o quattro suoi colleghi, con l'inframmezzo di qualche giornalista à la page e l'incantesimo di quel nome, celebre e saggio, svanirà.
Questi maestri, benché contemporanei, sono universalmente riconosciuti come formatori dell'opinione pubblica, lucidi interpreti del mondo e degli avvenimenti più importanti, ma a Cortina non sono più gli stessi.
Sarà la diretta, il clima vacanziero, il bagno nella piccola folla convenuta sotto il tendone estivo stile meeting riminese, ma dalla parola scritta alla performance in pubblico, da giganti si trasformano in pigmei.
E' una sorta di cartina di tornasole il dibattito organizzato su temi di grande importanza politica o culturale da Enrico Cisnetto.
E il più delle volte, se non tutte, i grandi spiriti del nostro tempo si fanno catturare dalla vanagloria, dal narcisimo, dalla volontà di potenza nel senso più deteriore del termine, e si atteggiano e parlano come dei assisi nell'Olimpo.
Ma il palco dove si siedono non è la sede divina, ci sono piccole poltrone, che al termine dello spettacolo vengono portate via in tutta fretta, lasciando vuoto il tavolato.
Gli ospiti ne escono sminuiti, ridotti ad una materia troppo umana ed effimera, e le loro parole si perdono nel vuoto, tanto sono prevedibili e banali.
La rassegna di luoghi comuni cui danno luogo, senza creare spazio ad un pensiero originale, ma solo ad autocitazioni e ad autoreferenzialità sfacciata, generano reazioni di ripulsa e noia, se non di commiserazione.
E' come guardare dal buco della serratura le debolezze ed i difetti che la kermesse scatena impunemente, e la gente si rende conto di quanto piccoli siano questi spiritelli.
Altro che Tito Livio. Solo fuochi fatui che fanno constatare la povertà intellettuale ed umana delle nostre classi dirigenti
.

mercoledì 20 agosto 2008

La Via







Aiutato dalla brezza marina la sera leggo alcune pagine del Tao.
E' un'utile lettura estiva, perchè richiama alla mente le distinzioni tra l'effimero ed il permanente.
Mi sono imbattuto in queste frasi che invitano alla riflessione ed alla ricerca di una risposta alla domanda finale.
Le trascrivo perché alla ricerca della strada, o via, siamo un po' tutti e un po' tutti vorremmo conoscere quella che va seguita.

Ecco il brano del Tao:


"La via che può essere espressa differisce dalla via perenne"

"La via è che è vera via non è una via costante"

Questo indica il Tao per domandare: " se la via perenne è la vera via, la vera via come può essere insieme costante ed
incostante?"

mercoledì 13 agosto 2008

Una domanda al Premier ed al Ministro Brunetta


A "Cortina Incontri", in occasione della presentazione della "Deriva", Il giornalista Gian Antonio Stella esponeva il caso Tirrenia: la società di navigazione perde 73.000 euro a dipendente.
Insomma, un altro disastro, come Alitalia. Se n'è parlato in passato, non è una novità.
Il Presidente di dette linee di navigazione, Franco Pecorini, è alla guida del gruppo da 24 anni, 24.
E' passato indenne sotto la prima e la seconda repubblica, godendo del favore di tutti i governi di qualsiasi colore.Ora, mentre si tenta di eliminare il deficit pubblico, non si sa nulla delle cure che il governo intende intraprendere nei confronti di un soggetto economico, divenuto con gli anni un potentato, che spende disinvoltamente il denaro dei contribuenti senz'aver mai, dico mai, garantito un servizio efficiente per gli utenti.
Si domandava Stella e noi lo chiediamo, come cittadini, al Premier ed al Ministro Brunetta: come mai il Signor Presidente della "Tirrenia", responsabile o corresponsabile dello sfacelo della compagnia di navigazione, è stato riconfermato nella carica per ulteriori tre anni ?

Il fiore



Cogli questo piccolo fiore e prendilo. 
 

 
Non indugiare! Temo che esso appassisca e cada nella polvere.
 
 Non so se potrà trovare posto nella tua ghirlanda ma onoralo con la carezza pietosa della tua mano - e coglilo. 

 Temo che il giorno finisca prima del mio risveglio e passi l'ora dell'offerta. 


 Anche se il colore è pallido e tenue è il suo profumo serviti di questo fiore finché c'è tempo - e coglilo.  
 
  
(Tagore)  

domenica 10 agosto 2008

Alexander Solgenitsyn






La scomparsa di Solgenitsyn lascia un vuoto immenso nella cultura internazionale. 
Nonostante il silenzio avvolgesse ormai la sua figura, da quando rientrato dall'America aveva trovato nella Russia di Putin una nuova collocazione politica, a sostegno del nazionalismo e del ritorno alla tradizione religiosa ortodossa, in antitesi con le teorie economiciste e materialiste, sia marxiste che capitaliste, rappresentava comunque un simbolo per milioni di europei, che si erano ritrovati privati di tutte le libertà sotto la dominazione sovietica, fino al crollo del muro di Berlino. 

Superfluo dire che i suoi libri avevano alimentato la resistenza contro il regime e le testimonianze raccolte con Arcipelago Gulag costituivano un atto d'accusa inesorabile contro il comunismo al potere.

Ad 89 anni la sua perdita lascia un solco tracciato, per quanti si oppongono al pensiero unico e globalizzante e pensano ad alternative da affrontare dialetticamente, per trovare soluzioni adeguate ai tempi contraddittori, che il mondo sta vivendo.

Le smisurate ricchezze, le povertà abissali, le dittature sanguinarie, il materialismo, l'anelito verso il trascendente. Tutti questi temi non hanno trovato analisi e soluzioni adeguate con nessuna delle ideologie del secolo scorso.

Il monito lanciato dallo scrittore contro i pericoli derivanti dalla omologazione, dalla scomparsa delle identità nazionali, anche ammantato da una visione ingenua e semplificatrice di un nuovo imperialismo russo, come balaurdo per la difesa dell'uomo cristiano antico, servirà a far riflettere sulla necessità di non accogliere passivamente il cosiddetto progresso economico indefinitamente inteso.

Onore a Solgenitsyn ed al suo coraggio di intellettuale controcorrente.


mercoledì 6 agosto 2008

Protesti chi vuole


Avevamo ammirato la presa di posizione di Sarkozy e la sua intenzione di non essere presente all'inaugurazione dei giochi olimpici.

Poi, anche Lui è riuscito, con una giravolta, ad allinearsi e, tutti insieme, i paesi, cosidetti liberi dell'Occidente, saranno in mostra, in nome della fratellanza dello sport.


Quale fratellanza e quale sport?


Pura ipocrisia. I giochi sono un grosso affare economico e politico, checché ne dica il nostro comitato olimpico.


Si pensa veramente che la Cina si sia attrezzata per le Olimpiadi di Pechino in omaggio allo sport o per affermare di fronte al mondo la propria immagine di superpotenza mondiale in ascesa?

Andiamo. Ci vorrebbero meno sepolcri imbiancati e un po' più di coraggio nell'affrontare la verità, anche in ambito sportivo, dove un esame di coscienza serio ed approfondito proprio non guasterebbe, visti i casi atleti dopati, che anche da noi affiorano troppo frequentemente.


Forse qualcuno dei leader, invitati all'inaugurazione, accennerà timidamente ad un ma e ad un se, a favore del martoriato Tibet, un piccolo accenno, come un minuetto, per non perdere la faccia di fronte al proprio paese, ma poi tutto finirà in una bolla di sapone.


La Cina, comunque, avrà vinto e continuerà a dominare sui popoli oppressi oggi come ieri.
Ci vuole ben altro che un dito alzato all'ultimo momento per cambiare la politica di una potenza imperiale.
Ancora una volta sarà confermato l'antico detto, secondo cui C'èst l'argent qui fait la guerre.

Se anche il Presidente della Repubblica francese, oltre a Bush, saranno sul palco, che cosa potevamo permetterci noi, che vediamo contraffatti i pomodorini di Pachino dai cinesi ? qualcuno dirà.

Ed infatti.
Tutti c'inchiniamo, per ossequio alla realpolitik, come d'altronde fecero tutti alle Olimpiadi svoltesi in Germania in pieno regime nazista.
In fila perfetta.
Pechino 2008 vale Berlino del 1936.
Le coscienze dell'Occidente sono sopite, anzi sono in coma profondo.
E' bastato osservare com' è stata commemorata la scomparsa di Solgenitsyn in America ed in Europa per rendersene conto.

Un personaggio scomodo, che in maniera anche cruda ha saputo indicare i mali della nostra civiltà, in nome della tradizione religiosa dell'antica madre Russia, è solo una cattiva coscienza da tacitare in fretta.

Quello scrittore era diventato pazzo, insinueranno i bravi democratici...

Ma chi crede di essere questo vecchio paranoico, che osa - dopo esservisi rifugiato - criticare la nazione americana, ritenendola asservita all'economicismo, ponendola sullo stesso piano di assenza spirituale dell'antagonista sovietica, schiava del materialismo ateo?

E volete che gli Stati, dove vige un regime di libertà, s'impegnino a lottare per il Dalai Lama ed il Tibet, colonizzato da oltre un cinquantennio, dove si consuma un genocidio quotidiano?

Scherziamo?

Protesti chi vuole e che la Storia faccia il suo corso.

sabato 2 agosto 2008

Coup de théatre







Il Sindaco di Capo d'Orlando, Comune siciliano in provincia di Messina, non ha trovato di meglio, per rinfrescare le serate dei suoi concittadini, che procedere a colpi di piccone alla demolizione della targa di una piazza, dedicata a Garibaldi.

I motivi sono stati esposti alla piccola folla di convenuti, davanti alla televisione ed hanno trovato l'approvazione del presidente del movimento autonomista Raffaele Lombardo, che avrebbe in mente la secessione dell'isola, dopo aver contribuito alla vittoria del centro-destra.

Ora, per chi abbia avuto la ventura di conoscere un po' la Sicilia ed i siciliani, è noto che una delle qualità di quel popolo è la grande capacità di recitare.
Lo diciamo, asetticamente, perché abbiamo un profondo legame affettivo con la terra di Sciascia, di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, oltre che di Pirandello ed apprezziamo molti siciliani onesti e patrioti, veri aristocratici, generosi e splendidi amici.

Quella del primo cittadino del piccolo centro del messinese è una perfetta interpretazione, che forse porterà qualche quattrino in più nelle casse comunali visto il consenso del Governatore della Regione.

Prendersela con lo Stato unitario e con Garibaldi in fondo non costa nulla, non comporta nessun rischio nell'italia sfilacciata di oggi, neppure una denuncia per danneggiamento e, magari consente di non tagliare spese inutili, come il Governo nazionale cerca di fare per rimediare, in qualche modo, al pauroso deficit di bilancio.

Perché, vedete, molto spesso, dietro questi gesti clamorosi (si fa per dire) c'è un interesse economico, legato ai piccioli.
Non abbiamo prove dirette, ma siccome l'aria che tira in Trinacria è quasi sempre quella, è molto probabile che la protesta si risolverà con l'allentamento del cordone della borsa.

Ora, però quel meraviglia di più in questo teatro dei pupi, è l'atteggiamento di Raffaele Lombardo, il quale ha facile gioco, nascondendosi dietro due spesse lenti nere, a non far capire a noi che cosa vuole esattamente con il suo editto separatista, a margine dell'atto di vandalismo.

Vuole ricongiungersi, per caso, all'America e alla grande mafia statunitense, come ai tempi del secondo dopoguerra o, magari, vorrebbe essere annesso alla Libia di Gheddafi?

E' convinto veramente che con la separazione dall'Italia, ritornerà la Magna Grecia o magari Federico II?

Che cosa si è messo in testa il Bossi del sud ?
Che la sua isola può produrre ricchezza e posti di lavoro, togliendosi il giogo di Roma?

Perchè non va avedere quanto denaro pubblico è stato dilapidato in Sicilia, grazie alle provvidenze statali e quanto guadagnano i dipendenti regionali, produttivi a giorni alterni, e poi vedrà che margini d'investimento rimangono per l'autonomia e lo sviluppo economico con le sole forze dell'isola.

Insomma, ci dica che pesce è Raffaele lombardo: si tolga lenti affumicate, che ricordano troppo le caricature del padrino e ci guardi negli occhi e parli chiaro: è un tonno, uno squalo, una gallinella, un gigione o un delfino?

Nel frattempo mediti sulla frase che Peppino Garibaldi pronunciò, affacciandosi davanti alla folla acclamante dei romani, ai tempi del triumvirato: Italiani siate seri!
Siciliani siate seri!

mercoledì 30 luglio 2008

Mondo Fluttuante






Vivere momento per momento, volgersi interamente alla luna, alla neve, ai fiori di ciliegio e alle foglie rosse degli aceri, cantare canzoni, bere sake, consolarsi dimenticando la realtà, non preoccuparsi della miseria che ci sta di fronte, non farsi scoraggiare, essere come una zucca vuota che galleggia sulla corrente dell’acqua: questo, io chiamo ukiyo


Scriveva nel 1662 Asai Ryoi i nei suoi "Racconti del mondo fluttuante" (Ukiyo monogatari).


A Milano nel 2004, in una mostra a Palazzo Reale venne ricordato lo scrittore e l'epoca di transizione, che lui viveva nel segno dell'impermanenza.
Concetto valido anche in Occidente.
Ne parlò Marc'Aurelio nei suoi Ricordi. E fu un tema della scuola stoica.

Questi versi di Asai Ryoi si adattano al clima di questi anni e la loro lettura è rasserenante per gli animi inquieti.





lunedì 28 luglio 2008

Giovannino




Riprendo un commento e cito da http://epistolae.mobitype.com/


Da ' Vita con Gio' ' di Giovannino Guareschi, pagg. 85-86:


"È puro umorismo dire che, siccome il problema dell' educazione dei giovani interessa la collettività, bisogna risolverlo collettivamente potenziando e finanziando i gruppi di giovani e lasciando a questi gruppi l' educazione dei ragazzi, mentre i genitori riuniti a loro volta in gruppi discutono sul modo migliore di educare i figli attraverso i gruppi. 'Onora il padre e la madre'. Per me il problema dell' educazione dei giovani è tutto lì: impostato e risolto [...] I primi a onorare il padre e la madre debbono essere il padre e la madre. Così come i primi a rispettare i vecchi debbono essere i vecchi. La vegliarda che si addobba, si pittura e scodinzola come una giovanetta e il vecchio bacucco che bamboleggia come un ragazzino mancano di rispetto alla vecchiaia e non possono poi pretendere che i giovani li rispettino. Il padre e la madre devono rendersi onorevoli, comportandosi, cioè, in modo tale d' aver diritto alla stima e al rispetto dei figli. E, per ottenere questo, bisogna innanzitutto comportarsi nel modo opposto a quello consigliato dal sociologo: non rinunciare alle responsabilità e alla coscienza personali creando delle fasulle responsabilità e coscienza collettive. E comportarsi da genitori perchè i figli non vogliono un padre-amico ma un padre-padre e una madre-madre. Ma è troppo faticoso e difficile insegnare ai figli l' onestà comportandosi onestamente. È più facile scrivere ai giornali e alla televisione scaricando l' onere dell' educazione dei figli sulla collettività, sullo Stato e sulle organizzazioni varie. Non esiste un problema dei figli, ma il problema dei genitori."




Una citazione che mi fa ricordare un tempo lontano.
Il 22 luglio del 1968.Il giorno in cui Guareschi mancò, se ne accorsero per caso.
Lui era inginocchiato alla sponda del letto, come se pregasse.


Forse pregava veramente, prima di declinare il capo per sempre, ad insaputa di tutti.Lui che non credeva nelle vitamine, ma aveva una fede incrollabile in Dio, in un attimo se andò, svolazzando le ali come uno dei suoi angeli disegnati in punta di matita.


Lasciava attonite alcune generazioni di lettori che, per miracolo, da dieci che erano, al tempo della nascita del fogliaccio, denominato "Candido", si moltiplicavano incessantemente, nonostante l'evoluzione del costumi.


Certo, erano pur sempre una minoranza, attenta alle gesta di Don Camillo alle prese con i figli della contestazione e convinta che Giovannino l'avrebbe spuntata con i suoi articoli e pamplets perfino con Pasolini.


Un film , "La rabbia", segnava l'ingresso del "baffo" nella contesa con i cinematografari impegnati nella lotta contro la tradizione.


La mia infanzia intellettuale rammentava la fine del settimanale decretata dal commendator Rizzoli, a causa degl'infortuni giornalistici di un galantuomo-scrittore, gli anni di volontaria galera, e le ulteriori vicissitudini legate all'avvento del progressismo catto-comunista (con cui gli editori dovevano fare i conti).


Guareschi non si fermò. Dopo il "suo" settimanale continuò a scrivere su un altro periodico, che lo accolse fraternamente, permettendogli di vivere un'altra stagione di libertà fino alla morte.


"Il borghese" di Tedeschi gli assicurò, fino alla fine, il massimo spazio di espressione, consentendo ai suoi "aficionados" di leggerlo ancora con gli ultimi libri, che parevano scritti per onorare più i suoi impegni di gentiluomo con il pubblico, che per sopravvivere in un'atmosfera ormai irrespirabile.


La sua perdita repentina ad un'età ancora tutto sommato giovane era un segno della sua stanchezza, di fronte al cumulo di macerie creato dal cosiddetto progresso.

Dopo la scomparsa, autorevoli e ormai dimenticati commentatori si arrischiarono nell'impresa di dimostrare che i suoi volumi, tradotti anche in cinese, non valevano nulla: poco più che carta straccia prodotta da uno stravagante personaggio della bassa padana, che aveva avuto "fortuna" nel raccontare favole per adulti, ma di cui si sarebbe persa la traccia nel giro di qualche anno.
Avevano la puzza sotto il naso i maestri del giornalismo nostrano, fatte salve le poche eccezioni, che preferirono far finta di nulla, di fronte alla canea insofferente dell'intellighenzia italica.
Vittorio Gorresio chi lo ha in mente oggi?
Eppure era un "columnist" della "Stampa", il giornale del capitalismo aperto al nuovo ed ai finanziamenti statali per la Fiat, che tuonava contro la produzione "pseudo-letteraria" di Giovannino, ritenendolo indegno di qualsiasi citazione colta.
E poi tanti altri più o meno noti, da Jemolo ad Eco, etc.etc.etc.
Ma, nel centenario della nascita, che si celebra quest'anno, il nostro autore ancora si fa apprezzare, al di là delle mode e dei gusti letterari, mentre gli altri, i denigratori, non si sa bene, al presente, che cosa possano rappresentare, se non un'epoca in disfacimento, che annega nel mare del nulla.
Lui è stato un testimone del suo tempo, con i piedi ben piantati per terra, a difendere il suo piccolo grande, mondo, esempio magnifico della nostra civiltà contadina.Il suo umorismo e la sua fede incrollabile nei princìpi "eterni" sono un fiore all'occhiello della letteratura del novecento.Giovannino resta un "ingenuo" nel senso latino del termine.


Forse l'ultimo "ingenuus"dei nostri scrittori.