mercoledì 23 novembre 2016
Referendum
Le riforme della Costituzione finora apportate dalla classe politica hanno avuto un esito positivo sulla sociale del nostro paese, sulla trasparenza delle Istituzioni sulla semplificazione dei rapporti tra lo Stato e i cittadini?
Quali giuristi di chiara fama, imparziali e pensosi del bene comune, hanno contribuito contribuito a modificarla in meglio, adattandola ai tempi?
Nel dibattito tra il giustizialista direttore del Fatto Q.e quello barricadiero di Radio Capital, nulla è stato aggiunto a quanto già non sapessimo.
La riforma costituzionale andrebbe fatta da personaggi d'indiscussa competenza e al di sopra delle parti in una visione se possibile più anglosassone che mediterranea della Carta fondamentale, adottando criteri pragmatici, romanistici e non bizantini, meno ecumenici e compromissivi di quelli del secondo dopoguerra, i quali in mancanza d'altro restano ancora i meno disastrosi.
sabato 11 giugno 2016
Liberalismo, liberismo e "antistatalismo"
I difficili anni del dopoguerra
A caratterizzare il liberalismo italiano nei primi anni della Repubblica fu la nota polemica tra Benedetto Croce e Luigi Einaudi[1] riguardo la possibilità, sostenuta dal primo e negata dal secondo, che si potesse essere liberali senza essereliberisti, ossia che si potesse sposare la tradizione liberale pur senza attribuire particolare peso alla libertà economica, o, addirittura, negandone la fondamentale importanza. Anticipando i Liberals, per Croce l'economia era una sfera subordinata alla politica e all'etica, e la libertà economica poteva essere considerata come una libertà di second'ordine rispetto alla più ampia e pregnante libertà dello spirito. L'idea di Einaudi era invece che non vi può essere libertà se non c'è anche la libertà economica, per il semplice fatto che se si controllano i mezzi di produzione e di distribuzione della ricchezza si controllano anche i fini degli uomini, e gli si nega la possibilità di essere liberi; tesi questa sostenuta da tutti i liberali classici. L'autorevolezza di Einaudi diede per un po' di tempo credito alla sua posizione, ma alla lunga fu l'idea di Croce ad affermarsi, e i liberali "einaudiani" vennero genericamente definiti liberisti, termine col quale, fino ad allora, nel linguaggio politico italiano, si era soliti designare, senza attribuirgli una precisa valenza filosofico-politica, quei sostenitori del libero scambio che si contrapponevano ai "protezionisti".
Nell'Italia del secondo dopoguerra la storia di quello che i suoi avversari chiamavano "liberismo"(sovente qualificandolo con epiteti triviali), e che i suoi sostenitori intendevano invece come la continuazione di quel liberalismo (classico) occidentale che aveva influenzato anche il Risorgimento, è piuttosto travagliata. La si potrebbe definire come un tribolato tentativo di liberarsi da quella distinzione crociana – che Carlo Antoni definisce una «questione di natura universale […] una di quelle che travagliano la civiltà del nostro tempo, [che] è stata dibattuta da noi nei modi e nei termini propri della nostra tradizione [; a]ncora una volta, cioè, il pensiero italiano ha mostrato il suo peculiare interesse per la distinzione delle attività dello spirito umano» – cercando di dimostrare che non già di «questione di natura universale» si trattava, bensì di un dibattito che si manteneva aperto soltanto a cagione di una diffusa disinformazione sulla storia e sull'evoluzione della tradizione liberale, e che si fondava su un'anacronistica pretesa di voler conciliare l'hegelismo col liberalismo e di distinguere tra "liberalismo economico" e "liberalismo politico". Se poi si tiene presente quanto lo stesso Antoni aggiunge, ossia che essa «ha attratto l'appassionato interesse del mondo intellettuale e specialmente dei giovani di allora [… e che] è stata determinante nella formazione dottrinale del nuovo partito liberale italiano, ma ha anche influito sugli atteggiamenti di molti intellettuali, che sono passati a costituire o a rafforzare i gruppi dirigenti dei partiti di sinistra»[2], si capisce quanto quella distinzione abbia pesato sulla storia del liberalismo italiano.
Ma per arrivare a staccarsi completamente dalla polemica ci vollero decenni, la scomparsa di molti di quanti ai due Maestri erano culturalmente ed affettivamente legati e, soprattutto, l'ingresso di nuove idee e di una nuova generazione di studiosi per i quali Croce costituiva l'esempio di una via da non seguire e Einaudi non bastava.
Dopo Einaudi, che fu l'ultimo esponente di una grande scuola di economisti, il liberalismo classico in Italia riscosse ben poco interesse. L'unico studioso a dare un contributo originale a quella tradizione di pensiero fu Bruno Leoni, la cui figura è emblematica sotto molti punti di vista. Studente di Einaudi ed allievo di Gioele Solari, Leoni seguì un percorso intellettuale autonomo il cui punto di svolta è costituito dal confronto, a partire dai primi anni Cinquanta, con gli esponenti della Scuola austriaca, e dallo sviluppo di una teoria del diritto e dell'ordine politico radicalmente liberale ed originale[3] che riscosse più interesse nella comunità scientifica internazionale che in Italia. Nel nostro paese persino il suo punto di partenza, la critica del positivismo kelseniano, aveva molte difficoltà ad essere compreso appieno, proprio per via delle conseguenze radicalmente liberali che egli ne traeva. Nelle sue opere mature, soprattutto Freedom and the Law del 1961, partendo dalla critica ad alcuni dei cardini del liberalismo classico, come ad esempio l'istituto della rappresentanza, arrivò ad avvertire l'insostenibilità, se non il fallimento, dell'equilibrio tra scelte collettive e libertà individuali tentato della democrazie liberali. Questo lo portò ad indicare la necessità, onde salvaguardare la libertà individuale, di una svolta in senso Libertarian caratterizzata, se non ancora da una scomparsa della politica, per lo meno da una netta riduzione delle competenze dello "stato", ricondotto a garante delle dinamiche dello "scambio di pretese individuali". Forse anche per questo motivo Leoni privilegiò il confronto con studiosi stranieri – ed è interessante notare come non si preoccupò di far tradurre la sua principale opera in italiano[4] – frequentando spesso varie università americane e soprattutto dedicando molte energie alla Mont Pélerin Society, l'associazione fondata da Friedrich Hayek nel 1947 che fu il luogo privilegiato di incontro e scambio di idee dei liberali di tutto il mondo, di cui fu prima segretario e poi presidente, e dei cui esponenti ospitò frequentemente saggi su "Il Politico".
Nonostante il panorama del liberalismo italiano non fosse esaltante non mancarono però alcune significative manifestazioni di interesse per il liberalismo classico, il quale, lontano dall'Italia, viveva fin dagli anni Sessanta un periodo di straordinario rinnovamento e di fervore intellettuale, quantunque fosse politicamente minoritario pressoché ovunque. Quella che era una delle più importanti riviste economiche dell'epoca, "L'industria" diretta da Ferdinando di Fenizio, benché fosse su posizioni apertamente keynesiane dimostrò un certo interesse per gli studi degli Austriaci, e lasciò spazio a saggi sulla critica della pianificazione forse anche perché in quegli anni se ne discuteva tanto e si cercò di metterla in pratica con misure politiche che suscitarono la fiera disapprovazione dei "liberisti". Sul fronte culturale è da segnalare la collana della casa editrice Vallecchi tramite la quale, nonostante lo scarso successo in termini di vendite e lo scarso impatto culturale, Renato Mieli aveva fatto tradurre alcuni importanti saggi di liberali contemporanei, quali Hayek (L'abuso della ragione, 1967, traduzione di The Couter-revolution of Science, del 1952, e La società libera, 1969, traduzione di The Constitution of Liberty, del 1960) e Milton Friedman (Efficienza economica e libertà, 1967, curiosa traduzione di Capitalism and Freedom, del 1962, quasi che il termine capitalismo risultasse sconveniente). Va poi ricordato come in quegli stessi anni uno dei maestri della scienza politica italiana, Giovanni Sartori, mostrò nei suoi scritti di conoscere bene le "nuove" idee liberali e tutte le potenziali tensioni tra liberalismo e teoria democratica. E vi fu poi Nicola Matteucci, che seppe tenere vivo lo studio dei classici del liberalismo, in particolare Tocqueville e la tradizione del costituzionalismo anglo-americano, e che con gli anni sarebbe poi entrato in contatto con il pensiero dei liberali classici contemporanei giungendo infine a scrivere un piccolo libro su Hayek[5] in cui tentava di conciliarne le idee con l'eredità della tradizione crociana. È anche da tener presente che in quegli stessi anni iniziò la parabola di Sergio Ricossa il quale, dopo essere stato per anni uno studioso di econometria, approdò a posizioni radicalmente libertarie illustrandone in modo originale, e con agile ed elegante scrittura, le tesi in libri, saggi ed articoli giornalistici che ebbero l'indubbio merito di mostrarne la consistenza teorica e l'importanza pratica.
La rinascita degli anni Settanta e Ottanta
Si è accennato in precedenza alla vigorosa rinascita della filosofia politica del liberalismo classico nei primi anni Sessanta, che avvenne soprattutto nell'ambiente scientifico di lingua inglese, e si è anche detto come a quella rinascita teorica non fosse inizialmente corrisposto un rinnovato interesse per una politica liberale. Tuttavia in molti paesi le cose iniziarono a cambiare durante gli anni Settanta. La crisi del socialismo e del keynesismo, i costi e le inefficienze delWelfare State e i problemi delle economie basate sul corporativismo (il riferimento è soprattutto al potere delle Trade Unions inglesi) iniziavano a segnare il passo e si guardava a ricette e modelli alternativi per tentare di uscire da quella crisi. Questa circostanza storica fece crescere l'interesse per le espressioni contemporanee del liberalismo classico, le quali si articolavano intorno a tre scuole di pensiero: la Chicago School, la Virginia School e soprattutto la Austrian School, e probabilmente contribuì al risveglio del liberalismo in Italia dove, anche se con considerevole ritardo, si iniziò a discutere delle principali opere filosofico-politiche scritte già nei primi anni Sessanta [6].
Tutte e tre queste Scuole, le cui dottrine economiche non potevano essere a lungo ignorate dato il successo che riscuotevano nel panorama internazionale, seppero trovare in Italia interpreti (quasi tutti membri della Mont Pélerin Society) attenti e capaci di disvelarne le potenzialità, ma le storie sono tra loro diverse. A occuparsi inizialmente di Friedman fu un suo allievo italiano, Antonio Martino, che non soltanto ne fece conoscere il pensiero ma tentò anche di applicarne le ricette economiche nella situazione italiana, portando avanti diverse iniziative culturali e politiche. Delle idee della Virginia School si occupò per primo approfonditamente Domenico da Empoli, che fece anche tradurre molte opere in lingua italiana. A livello politico però le idee della Virginia School furono portate avanti da un economista amico di Buchanan, Francesco Forte, il quale, da esponente del Partito socialista, fu Ministro delle Finanze e tentò di fare un uso "tecnico" delle idee di Buchanan. Una caratteristica delle tesi sia della Virginia che della Chicago School è infatti quella di aver saputo elaborare delle ricette per migliorare le performances economiche, ricette che però non necessariamente possono essere applicate solo da politici liberali. Avvenne dunque in Italia, come in altri paesi era successo ad esempio con il monetarismo di Friedman, che ad entrare nel dibattito e nelle scelte politiche fossero le ricette economiche ma non le teorie liberali che stavano dietro quelle ricette, con risultati che spesso lasciavano decisamente a desiderare. Da non trascurare è poi l'interesse che Franco Romani manifestò, tra i primi in Italia, per le idee di Ronald Coase e di quello che si suole definire come "neo-istituzionalismo". Tuttavia, al di fuori di Martino, che svolse un ruolo di primo piano nell'elaborazione del programma economico-politico della nascente Forza Italia (formazione politica che comunque in seguito si allontanò da una prospettiva, per così dire, radicalmente "liberal-liberista"), questo risveglio, quantunque largamente popolare nell'iniziale cultura politica vicina a quel partito (si pensi alle prime annate della rivista "IdeAzione"), non trovò un immediato sbocco politico.
Altrettanto tortuoso fu l'ingresso delle idee della Scuola austriaca in Italia, ma per motivi diversi. Tutto iniziò con la scoperta di Karl R. Popper da parte di Dario Antiseri, sin dai primi anni '70. Popper non era però un esponente della Scuola austriaca in senso stretto, ma un filosofo della scienza e della politica con inclinazioni liberali il quale, con La miseria dello storicismo e La società aperta e i suoi nemici, aveva rivolto al determinismo della filosofia della storia (Historicism), destinato sfociare nella mentalità e nelle istituzioni totalitarie, critiche che i tanti marxisti di allora trovavano irritanti quanto difficili da confutare. Il suo pensiero, tuttavia, poteva essere utilizzato anche nell'abito "neutro" della metodologia delle scienze sociali e della filosofia della scienza (come ad esempio fecero Marcello Pera, Luciano Pellicani, Lucio Colletti) traendone allora conclusioni vagamente "socialdemocratiche" che rispondevano al tentativo di espellere il materialismo storico e le esperienze totalitarie sovietiche da una revisionata teoria politica che fondeva pienamente la socialdemocrazia con la democrazia liberale, e successivamente, come nel caso di Giancarlo Bosetti, al desiderio di una sinistra democratica in senso americano che faceva i conti col 1989. Naturalmente di Popper si poteva anche dare una lettura liberale, in maniera probabilmente più opportuna se si considerano le sue teorie e le sue personali convinzioni, cosa che avvenne negli anni Ottanta con lo stesso Antiseri ma anche con i più giovani Raimondo Cubeddu, Lorenzo Infantino e Angelo M. Petroni. A partire da questi studi su Popper nacque l'interesse per la Scuola austriaca, interesse che si sarebbe progressivamente accresciuto catturando l'attenzione, oltre che degli studiosi citati, di vari scienziati sociali e di alcuni economisti, tra i quali, per la rilevanza teorica dei contributi e per l'interesse ad altre componenti della tradizione economica liberale contemporanea, come quella dei Property Rigths, va segnalato Enrico Colombatto. Nel campo delle scienze giuridiche spicca il contributo di Pier Giuseppe Monateri che confronta una profonda conoscenza della tradizione giuridica liberale con le nuove problematiche dei diritti di libertà.
Delle tre Scuole del liberalismo classico novecentesco quella Austriaca è probabilmente la più radicale, nel senso che, al contrario delle altre due, non ha ricette economiche pronte da usare da parte di qualunque governo e in tutte le circostanze, e al contempo non si presta molto a compromessi con chi non ne condivida i presupposti liberali. Ma, al di là dell'influenza che Ludwig von Mises in particolare ebbe sulla rinascita del Libertarianism americano (Murray N. Rothbard, per fare un solo ma assai significativo esempio, fu suo allievo a New York) è probabilmente anche la più articolata e filosoficamente fondata delle tre. Infatti essa, già col suo fondatore Carl Menger, propone una spiegazione riguardo il formarsi e l'evolversi delle istituzioni sociali e una chiara idea su quale sia l'ordine politico "buono", spiegazione che si fonda su una teoria generale dell'azione umana connessa alla "teoria dei valori soggettivi". Per questo non stupisce che la Scuola austriaca abbia richiamato l'attenzione di studiosi con formazione e interessi assai diversi: dalla metodologia economica alla teoria pura della conoscenza e all'urbanistica. Se dunque l'interesse per la Scuola austriaca non ha avuto un impatto politico immediato pari a quello delle altre due Scuole di pensiero, essa ha certamente avuto un impatto culturale di lungo periodo che ha trovato nella casa Editrice Rubbettino un canale privilegiato tramite la traduzione delle principali opere dei suoi esponenti.
Il Libertarianism a partire dagli anni Novanta
La scoperta degli Austriaci, e di Leoni in particolare, ebbe poi come naturale conseguenza il richiamare l'attenzione su un'altra corrente di pensiero che portava il ragionamento austriaco sino alle estreme conseguenze, sconfinando dal liberalismo al pensiero libertario se non, in alcuni casi, all'anarchismo individualistico. A partire dagli anni Novanta, ad opera di Cubeddu (il quale, diversamente da Antiseri, teso a conciliare le idee "austriache" con quelle del cattolicesimo liberale, ne fornisce un'interpretazione per così dire "laica" spingendosi a chiedersi se la crisi dello stato contemporaneo non sia anche una crisi della stessa idea di politica come sviluppatasi nella tradizione occidentale) e di una nuova generazione di studiosi, tra cui Carlo Lottieri, Luigi Marco Bassani e Nicola Iannello, si manifesta un crescente interesse per la tradizione antistatalista americana del Libertarianism, che ha i suoi riferimenti principali in Rothbard, in Ayn Rand (tuttora oggetto di scarsa attenzione) e in Robert Nozick. Le tesi di questo liberalismo "estremo", nonostante abbiano talune caratteristiche che possono talvolta risultare "urticanti", presentano alcuni pregi. Come prima cosa hanno riproposto sotto una nuova veste il problema non solo dei limiti della politica, ma della stessa legittimità dell'esistenza dello stato e dell'autorità, un tema classico della filosofia politica. Hanno poi contribuito a vivacizzare anche in Italia il dibattito sul Diritto naturale, idea di diritto peraltro cara al mondo cattolico, con il quale esiste un rimarchevole confronto e al quale alcuni dei Libertarian italiani apertamente si ispirano.
Prima degli anni Novanta la tradizione Libertarian, con la parziale eccezione per l'interesse nei confronti del volume di Nozick Anarchy, State and Utopia, e per l'originale rivista "Claustrofobia" pubblicata da Riccardo la Conca alla fine degli anni Settanta, era pressoché sconosciuta in Italia. Ma dagli anni Novanta ad oggi si è riscontrato un interesse piuttosto ampio, sia dentro sia fuori l'accademia, fatto inconsueto per un movimento di pensiero così radicale, e forse segnale di una certa insoddisfazione per una teoria liberale che sembrava essersi dimostrata incapace di porre dei freni strutturali alla dilatazione del potere politico. Anche per questo motivo, in Italia come all'estero, molti autori che prima si collocavano nell'alveo del liberalismo classico hanno deciso di definirsi libertari, proprio perché ritenevano troppo compromessa la parola liberale. Il movimento libertario ha anche trovato una casa editrice, la Liberilibri di Aldo Canovari, particolarmente attiva nel promuovere la traduzione e diffusione dei testi libertari e dei classici della tradizione liberale anglosassone, e un Think Tank, l'Istituto Bruno Leoni guidato da Alberto Mingardi, assai agguerrito tecnicamente ed abile nel richiamare l'attenzione sulle idee e sulle proposte politiche libertarie.
Più in generale, il dibattito attuale tra gli esponenti italiani del liberalismo classico e del Libertarianism, e sottolineata la difficoltà di operare una distinzione netta tra i due, non appare caratterizzato tanto da diverse posizioni circa i "limiti dell'azione dello stato", considerando la condivisa necessità di elaborare un modello di ordine politico che superi, per adoperare una felice espressione di Frédéric Bastiat, la «grande finzione [dello stato moderno] per mezzo del quale tuttisi sforzano di vivere a spese di tutti». A caratterizzare tale dibattito è invece soprattutto una diversità di vedute in merito alla possibilità di una fusione tra la filosofia politica della Scuola austriaca (dalla quale in gran parte deriva anche la filosofia politica dei Libertarians) e quella della tradizione del cattolicesimo liberale (nell'interpretazione che di essa fornisce Antiseri), diversità che, tra le altre cose, solleva due ordini di questioni. Da un lato vi è la discussione, apparentemente accademica, sulla relazione tra il Cristianesimo e Liberalismo e sulla continuità o discontinuità tra la tradizione della Legge Naturale e quella dei Diritti Naturali (temi d'interesse anche per altri esponenti della galassia liberale italiana). Dall'altro vi sono le diverse opzioni politiche riguardo al tema della libertà individuale in relazione alle implicazioni sociali delle innovazioni scientifico-tecnologiche e al conseguente ruolo della politica di fronte all'incertezza sociale che si lega ai mutamenti economici e sociali connessi all'instabilità dei processi di mercato e delle aspettative individuali e sociali.
Un tale dibattito, per quanto ancora in via di definizione, sembra avere delle conseguenze fortemente innovative per gli studi liberali. Come prima cosa segna probabilmente il superamento delle vecchie discussioni sull'"antistatalismo", discussioni secondo alcuni ormai rese sterili dalla consunzione dello stato e dalle implicazioni politico-economiche della concorrenza tra gli stati. Ha poi delle conseguenze importanti riguardo alla necessità di una profonda riformulazione dell'idea stessa di "politica" e all'utilità, se non l'esistenza stessa, di una filosofia politica in relazione al ristretto orizzonte culturale di una dottrina costituzionale che si intende come l'unico limite all'azione politica.
[1] B. CROCE, L. EINAUDI, Liberismo e liberalismo, a cura di P. SOLARI, Ricciardi, Milano-Napoli 1988. La disputa in realtà iniziò già nel 1927.
[2] C. ANTONI, Il tempo e le idee, a cura di M. BISCIONE, ESI, Napoli 1967, pp. 225 e 243-244.
[3] Leoni purtroppo non riuscì a dare una stesura definitiva alle sue numerose intuizioni, e in particolare alla sua teoria del diritto come pretesa, nonostante la sua riflessione fosse nella sostanza arrivata a conclusione. Gli scritti di Leoni al riguardo, alcuni inediti, sono stati ripubblicati in Il diritto come pretesa, a cura di A. MASALA, con una perspicace Introduzione di M. BARBERIS e una Postfazione di A. FEBBRAJO, Liberilibri, Macerata 2004.
[4] B. LEONI, Freedom and the Law, Van Nostrand, Princeton 1961 fu tradotta in italiano solo vari anni dopo la morte di Leoni, La libertà e la legge, Introduzione di R. CUBEDDU, Liberilibri, Macerata 1995.
[5] N. MATTEUCCI, L'eredità di von Hayek, Società Aperta, Milano 1997.
[6] La rinascita del liberalismo classico è ben simboleggiata dalla pubblicazione quasi simultanea di tre fondamentali opere di quelle tre scuole, rispettivamente Capitalism and Freedom, del 1962, di Milton Friedman, The Calculus of Consent, del 1962, di James Buchanan e Gordon Tullock, e The Constitution of Liberty, del 1960, di Hayek.
domenica 25 maggio 2014
E' una tranquilla domenica di primavera.
Perché dovremmo pensare alla politica e ai partitanti?
E' tempo di volgere lo sguardo altrove: di cercare nuovi spazi e altri orizzonti.
E' più salutare allontanarsi dalla quotidianità banale e grigia delle piccole contrade e guardare alle vette per respirare aria pulita, rigenerare il fisico e lo spirito e non sprecare energie.
sabato 13 luglio 2013
Le stagioni non sono più le stesse
Quante volte abbiamo sentito ripetere questa frase, che sembra sia ormai un luogo comune.
Eppure presa come metafora della nostra società, dobbiamo convenire che ci sono cambiamenti epocali in atto, che incidono profondamente nella nostra coscienza.
In un intervento molto puntuale ed acuto in un convegno giuridico è venuto alla luce che la deontologia professionale è ampiamente e frequentemente violata.
Se allarghiamo il campo oltre l'avvocatura, ci accorgiamo che quotidianamente il verbo da seguire è l'arricchimento veloce e con qualsiasi mezzo, sfruttando tutte possibilità che il sistema di potere offre e perseguendo un solo principio arraffare soldi da chiunque, anche se povero, meglio se sprovveduto.
E' mondo che è cambiato già da decenni; la politica è un mestiere per costruirsi patrimoni e non per realizzare il bene comune. La partitocrazia non fa distinzioni: crea le caste e le custodisce.
I giovani per lo più pensano a trovarsi la strada più agevole per spillare quattrini senza considerare la persona umana e il rispetto che merita.
L'uomo non è più un fine da rispettare, ma uno strumento per la conquista del proprio spazio vitale.
No, le stagioni non sono più quelle di un tempo e noi non sappiamo più se adattarci o fuggire.
Ma è ancora possibile la fuga?
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venerdì 19 ottobre 2012
Il pdl? Una massa informe
Guardando il pdl, abbiamo di fronte una massa informe e purtroppo allo sbando...e, secondo me, per nulla destinata a vincere.
Il
berlusconismo, tradito dallo stesso leader un tempo carismatico, lascia
una triste eredità ed una infinita serie d' imprese nefaste consumate
da un branco di furbetti a livello nazionale e locale, privo di cultura
di governo e dedito al proprio personale tornaconto.
Uno
spettacolo degradante, che ora lascia il campo a personaggi poco
credibili come la Santanchè, la quale vorrebbe rottamare tutti per
occupare la scena ( con quali meriti non si sa). L'ineffabile Santanchè
pensa che gli elettori moderati (o no) abbiano la memoria corta?
Persevera nel ruolo di pasionaria berlusconiana, di rottamatrice del centro-destra, dopo che per anni ha perseguito le sue personalissime ambizioni di arrampicatrice, dando vita ad equivoche esibizioni e volgarissime polemiche, con un pedigree punteggiato di sostegni pubblicitari e frequentazioni poco affidabili, nel nome della più furbesca ideologia: ''levati tu che mi ci metto io''.
Che contributo possa dare alla rifondazione dell'area liberal-popolare Dio solo lo sa. E' certo che il suo sgangherato appeal può portare più danni che benefici ad una seria opera di ricostruzione della politica dell'ex pdl.
Il ruolo che meglio le si attaglia è quello di teenager un po' attempata e di interlocutrice permalosa del 'mitico' Zucchero, nelle esibizioni canore condite d'insulti contro i neo-ricchi della dorata Costa Smeralda.
Persevera nel ruolo di pasionaria berlusconiana, di rottamatrice del centro-destra, dopo che per anni ha perseguito le sue personalissime ambizioni di arrampicatrice, dando vita ad equivoche esibizioni e volgarissime polemiche, con un pedigree punteggiato di sostegni pubblicitari e frequentazioni poco affidabili, nel nome della più furbesca ideologia: ''levati tu che mi ci metto io''.
Che contributo possa dare alla rifondazione dell'area liberal-popolare Dio solo lo sa. E' certo che il suo sgangherato appeal può portare più danni che benefici ad una seria opera di ricostruzione della politica dell'ex pdl.
Il ruolo che meglio le si attaglia è quello di teenager un po' attempata e di interlocutrice permalosa del 'mitico' Zucchero, nelle esibizioni canore condite d'insulti contro i neo-ricchi della dorata Costa Smeralda.
Se
l'Alfano non corre subito ai ripari e vince il proprio complesso
d'inferiorità rispetto al padre- padrone, contrapponendosi alla sinistra
e ai giochetti interni di potere, che prilegiano solo chi vuole
conservare le poltrone anche con la 'nuova' legge elettorale sarà
difficile evitare la débacle.
Torni
il delfino alle indicazioni dei referendum Segni e dia un segnale vero
di riscossa, all'insegna di quella rivoluzione liberal-popolare tradita
nei fatti e sia la voce della protesta dei ceti medio-piccoli e deboli
contro uno stato partitocratico, che giorno per giorno ci porta verso la
schiavitù più estrema
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mercoledì 29 agosto 2012
Quando comincia l'estate?
Quando comincia l'estate?
Difficile dirlo.
Per chi come noi rifugge dalla massificazione, ama la natura e la bellezza, gli spazi ampi e non affollati, l'otium e la meditazione, il nuoto libero da impacci di qualsivoglia specie, compresi quindi i bagnanti della domenica o quelli con muta e palloncino, la vera estate comincia adesso, tempo permettendo, a settembre, mese magico come maggio e giugno e ottobre.
Quindi non si meravigli nessuno se dico che comincerò ad andare al mare fra un paio di giorni, quando la grande canea torrida e volgare sarà finalmente terminata.
Porterò sugli scogli un bel libro e m'immergerò quieto nelle acque limpide, lontano da ombrelli e sedie a sdraio, bottigliette di plastica e canotte alla moda, wind surf ed acqua scooter, lontano soprattutto dai coatti delle vacanze, ennesima espressione di quella che Cattabiani chiamava la volgocrazia.
giovedì 5 aprile 2012
Reazionario ed eversivo ?
Caro Prof Cardini,
in un recente editoriale, assai interessante ed articolato, nel quale Ella analizza la funzione dello storico e la interpretazione della storia, secondo coordinate filosofiche e religiose, dandoci una magistrale lezione civile, pone il finale quesito se sia possibile, sul piano intellettuale ed operativo, essere, al tempo stesso reazionari ed eversivi, ed anche nihilisti e provvidenzialisti insieme, sfidando in questa singolare tenzone chiunque voglia contraddirla od argomentare in senso contrario al suo.
Il principale protagonista di questa, apparente o no, ma singolare posizione è naturalmente Lei, un maestro di dialettica, un uomo di vastissima e profonda cultura, il quale da tempo ormai ha il pervicace interesse a comporre tra loro tesi contrastanti o antitetiche in una visione del mondo definibile, se mi consente, semplicemente ossimorica.
Mi guardo bene dall’avversare la sua tesi, essendo abituato alle sue fruttifere speculazioni, cambi di campo di battaglia, opinioni anticonformiste, tese ad abbattere gli idola contemporanei, a distruggere i più insulsi luoghi comuni, a difendere le retrovie del sapere senza aggettivi, libere dalle malefiche ideologie novecentesche, per lanciarsi in ammirevoli attacchi donchisciotteschi contro i vincitori di eri e di oggi, nel segno di ideali verdeggianti di giustizia, senso del sacro e solidarietà umana, riscatto dei poveri e dei deboli.
Mi ha peraltro, allo stesso tempo, indignato ed attratto la Sua interlocuzione nel recente incontro tra il Papa e Fidel Castro, il quale, forse afflitto da potenti sensi di colpa dopo il fallimento del proprio disegno politico, chiede consigli a Benedetto XVI sui libri da leggere, durante il percorso che gli resta ancora da compiere fino all’aldilà, e la Sua più che benevola interpretazione, in termini di parabola evangelica, del celebre libro di uno scrittore laico come Hemingway, a lungo frequentatore appassionato di Cuba e dei cubani, intitolato ''Il vecchio ed il mare'', apologo dell’invincibilità di alcuni uomini, dotati di forza e di carattere, da ritenersi comunque vincitori nonostante le sconfitte, grazie al loro invitto impegno e la indefettibile coerenza con le proprie idee, nel corso della loro esistenza.
In linea di principio come non concordare?
Nelle vicende umane, magari familiari, alla luce della storia, o di personali ricordi, ci è dato constatare che uomini di carattere, dalla personalità esemplare, nonostante debolezze, difetti, vizi ed errori, sono ascesi comunque nell’olimpo dei valorosi, pur essendo sconosciuti ai più, magari gente di umile origine, come il pescatore immortalato dal grande Ernst.
Ma sul piano politico, siamo proprio sicuri che l’equazione abbia la stessa valenza, lo stesso significato?
Mi consenta di dubitare fortemente dell’assioma (avvincente ma fasullo) che cristianesimo e marxismo (nelle sue varie salse) possano equivalersi e risultare alla fine due facce della stessa medaglia contro il comune nemico liberal liberista ed individualista.
E’ una tesi che non da oggi nelle sue polemiche antiamericane non mi ha mai convinto del tutto.
Io ho sempre pensato con umiltà che il cristianesimo, a coronamento della civiltà greco-romana, fosse l’apoteosi della persona umana, considerata nella sua individualità, e che le battaglie della chiesa contro lo strapotere dello stato anteponessero proprio il singolo alla forza spesso ingiustificata del potere.
Non ho mai creduto che libertà individuale e bene comune fossero confliggenti ed ho reputato lo spirito giacobino, figlio del terrore rivoluzionario, il padre delle violenze sanguinose, che hanno imbrattato di vergogna e contraddistinto le malvagie ideologie del secolo scorso, considerando i cittadini solo dei numeri di fronte alla idolatrica supremazia della nomenklatura o della politica.
Ci sono affinità e parentele innegabili tra cristianesimo e liberalismo, di cui Ella non pare voler assolutamente tener conto: letteratura scientifica, teorie economiche, saggi di filosofi e studi di teologi indirizzano verso un giudizio diverso dal Suo, troppo consenziente verso le posizioni cosiddette post-comuniste, autoassolventesi da tutti gli orrori del passato, nel segno della supposte idealità contenute nella pura dottrina.
Perché ammantare di nobiltà presunte (e tutte da verificare) le azioni politiche delittuose, ignare della supremazia dell’uomo, del singolo componente della comunità, dell’individuo, del cittadino, di ciascun membro della società civile, deliberatamente sottoposto al volere e agli abusi del Leviatano?
In nome di tragiche utopie, di fanatismi dissennati, non è stato annientato il senso del sacro e con esso il rispetto per le persone, ridotte ad insetti e calpestate nella loro dignità, soppresse della vita stessa?
Caro Prof, mi chiedo se non sarebbe il caso di riflettere più a fondo su questi temi cruciali, prima di distribuire generosamente patenti di valore a quanti sono stati irriducibili nemici della libertà individuale e collettiva?
Essere reazionari ed eversivi o nihilisti e provvidenzialisti, probabilmente, è un falso dilemma di fronte alla complessità dell' universo e ai valori a cui riferirsi nel proprio cammino umano.Ma il problema della tirannia sotto i vari regimi totalitari, nelle false democrazie, nella dittatura della maggioranza o del pensiero unico, rimarrà fondamentale nelle scelte di ognuno di noi.
Scriveva saggiamente E. Junger e le sue parole suonano profetiche e restano pietre miliari all'esclusivo servizio della verità:
” Ecco perché i tiranni hanno paura. Possono ridurre all'obbedienza milioni di uomini, ma non quell'uno che in sé ha ridotto in schiavitù la morte. Egli ristabilisce la dignità dell'uomo.”
mercoledì 4 aprile 2012
Piero Buscaroli 'monstrum'
Leggere Piero Buscaroli nel suo ultimo libro ‘’Dalla parte dei vinti’’ (Mondadori ed., 2010, 27 euro) è come addentrarsi in un’enciclopedia vivente.
Intanto si comincia in punta di piedi a centellinare parola per parola, per poi inoltrarsi nella narrazione con timore reverenziale per l’approccio a temi e concetti profondi, dal risvolto classico: una prosa avvincente, ineffabile, profetica, aurea.
Ha la compostezza, la ricchezza di linguaggio, la cura e la raffinatezza di un signore rinascimentale, che apprezza e condivide tutti i campi del sapere, nel rappresentare luoghi di conoscenza frequentati con inimitabile sprezzatura ed acutezza d’intelletto, il frutto succulento di studi, educazione, dimestichezza con il bello acquisita fin dall’infanzia.
La scrittura togata ed affascinante, al tempo stesso, ne fa uno degli ultimi valenti, poliedrici, poligrafi del novecento.
Le frasi s’incastonano nei capitelli della storia come fregi di rara eleganza e scandiscono il distacco dalle generazioni successive, irrimediabilmente precipitate nella banalità della massificazione.
Cacciari, filosofo e suo parente, uno dei più vivaci intellettuali non conformisti del nostro tempo, segna la distanza tra due epoche: a seguire le descrizioni dell’austero autore del cennato libro, interprete e commentatore degli anni della seconda guerra mondiale e di quella fratricida del nostro paese, protagonista lucido e critico implacabile dei turbolenti eventi post-bellici e della decadenza dell’Europa, il barbuto ex sindaco di Venezia, pur con la sua passione per la geo-politica, fa la figura di un alunno indisciplinato e poco diligente, un po’ superficiale e monello.
Guai ad azzardare paragoni con chicchessia.
Nessuno può eguagliare Buscaroli per erudizione e vastità di esperienze, scienza e saggezza impervia, onestà e la chiarezza di idee ed l’ intrepido caratteraccio: egli non si discute, è semplicemente un monstrum, a cui inchinarsi con deferenza ed ammirazione e rispettoso ossequio.
martedì 27 marzo 2012
Orazio cantore della dignità umana
Quinto Orazio Flacco è ancora il nostro maestro: sappiamo che questo grande autore classico mise in prima linea la libertà dell’uomo.la sua celebre frase carpe diem racchiude una profonda saggezza: carpere significa esercitare un elegante gusto per il piacere non esclusivamente materale e diem indica tutta la limitatezza della natura della persona, la sua fragilità nella temporalità del vivere, nella precarietà dell’esistenza.
Sfidare il fuggire del tempo ed avere il coraggio della morte, conquistando l’intensità ed il valore dell’attimo che scorre.
Dum loquimur, fugerit invida aetas…
martedì 20 marzo 2012
Benigni e l' anniversario dell'Unità d'Italia
E' stato un bel colpo di teatro quello del Quirinale, adatto ai tempi che viviamo.
Se non altro Benigni incarna il cambiamento ideologico della piazza per così dire nazional- popolare, quella che, imbevuta di cultura post marxista e gramsciana, ha scoperto a modo suo la patria.
Un revirement considerato impossibile fino a pochi anni orsono e realizzabile solo grazie all'elezione di un comunista doc come Napolitano.
Non so se ci si debba rallegrare o sghignazzare alla vista di un comico,il quale dopo aver recitato Dante davanti a milioni di telespettatori, ignorando la natura profondamente reazionaria ed imperialista del Poeta, ha voluto celebrare il Pantheon del nostro risorgimento, espungendolo da richiami monarchici e cavouriani.
Limitiamoci a guardare lo spettacolo,considerandolo come un passo obbligato per incorniciare il minimalismo politico ed etico del regime partitocratico, durante il quale sono andati ad ingrossare l'esercito dei politicanti- comici quasi tutti i rappresentanti del popolo, saldamente incollati alle loro poltrone dal dopoguerra ad oggi.
mercoledì 21 settembre 2011
I covili
«E tali “rifugi contro l’inclemenza del tempo” paiono essere verosimilmente quei “covili d’uomini” ricavati dalle selve e contrapposti da Giambattista Vico alle “selve delle città”, alle città divenute selvagge, sì che appunto gli uomini che tali “covili” abitano vengono qualificati come selvaggi, come “omini salvatici”, “uomini dei boschi” — insieme abitanti della selva e “coloro che si salvano” —, dagli abitanti delle città inselvatichite”»
Giovanni Cantoni
Giovanni Cantoni
lunedì 19 settembre 2011
'I trucchi USA non fermano la Bufera'
Gli espedienti ai quali Sec e Tesoro degli Stati Uniti si sono votati confermano che giovedì scorso la situazione dei mercati non era più soltanto seria, era disperata. Eppure quanti su tanti giornali spiegano la crisi paiono volersene dimenticare a memoria. E per un rimbalzo da borse alla cinese, ovvero finte, hanno ceduto troppo all’euforia. Mentre invece gli espedienti tentati restano per molti versi discutibili, e forse di precaria efficacia. Del resto tant’è: questo è il pressappochismo sortito da anni in cui si sono stampati più dollari che tappi di Coca-Cola. Per carità tralascio di citare che cosa tanti economisti hanno scritto fino all’altro ieri. Lasciamo stare; vediamo invece quali rischi di incoerenza e quanti margini di inefficacia vi siano nel gesto americano.
Bastasse davvero solo di vietare le vendite allo scoperto per risolvere le crisi finanziarie saremmo tutti a posto: neppure ci sarebbe stata la Grande Crisi degli Anni Trenta. Pure Hoover, 31° presidente degli Stati Uniti, era ossessionato dalle vendite al ribasso, che giudicava complotti. Finì nel ridicolo, perse le elezioni. Fa bene dunque McCain a non voler ripetere i suoi errori, e a chiedere la rimozione di Cox, presidente del Sec. Anni fa la Securities and Exchange Commission permise di alzare il livello di debito delle banche ora fallite, esagerando il rialzo. Per decreto ora invece blocca la principale delle scommesse al ribasso, con un atto che resta dubitabile. Infatti i short selling bloccati, lasciando gonfiati i vari valori finanziari, possono aggravarne il tracollo al loro sblocco. Inoltre vietando vendite allo scoperto si tampona la crisi, ma s’inaridisce una fonte di liquidità: in una situazione già illiquida si chiude uno dei canali di ricopertura. Vari titoli poi, come quelli sulle carte di credito, ne sono pericolosamente esclusi. Infine il divieto è di molto complicato dall’esistenza d’altri generi di scommesse al ribasso scambiate tra investitori direttamente, non in Borsa. Insomma questo mercato truccato di una Wall Street evoluta Shanghai, coi suoi corsi manipolati dallo Stato, tampona forse la crisi, ma non è detto la risolva.
C’è poco da fare: il ritorno alla salute richiede prima o poi inevitabile una distruzione vera di valori fittizi. E perciò anche l’altra misura, quella di creare un fondo mostruoso del Tesoro, in cui infilare mutui e crediti cartaccia, è disputabile nei suoi effetti. Dovrebbe acquisire a prezzi scontati valori enormi, mai prima pensati, tali da elevare di un sol colpo del 5% il debito Usa. E però in tal maniera si rischia pure il congelamento di valori fittizi, ovvero non remunerabili: l’esito giapponese degli anni ’90. I dubbi non finiscono: quanti abusi si verificheranno nella stima dei prezzi ai quali questa cartaccia sarà comprata coi soldi dei contribuenti. A prezzarli non sarà infatti un mercato che si è sospeso. Insomma siamo alla commedia di un liberismo finto, usato per speculare al rialzo, ma che si sospende al ribasso, e di una globalizzazione che allora è stata solo una americanizzazione. Diviene lecito a chiunque, temo, chiamare truffa, gli imbrogli di borsa per via dei quali gli Usa si sono mantenuti almeno dalla presidenza Clinton in un livello di consumi innaturali. E con che esito alla fine? Mercati finanziari americani sotto tutela dello Stato; alla cinese. Appunto alla comunista: coi guadagni incassati poi da pochi, ma pagati da tutti. Von Hayek, i liberisti veri, predicavano ben altro: di mai stampare moneta in eccesso. Il contrario di quanto s’è purtroppo, e troppo a lungo, plaudito per anni.
Geminello Alvi, 22.09.2008 'Il Giornale'
domenica 4 settembre 2011
Giulietto 'il giulivo'
L'apologia della delazione fiscale del ministro e il suo sarcasmo nell'affermare che s'incrementeranno rapine e sequestri a danno dei più ricchi sono una ben misera autodifesa.
Dietro il sorrisino di autosufficienza del giulivo Giulietto nazionale, Colbert in sedicesimo, si nasconde molta insicurezza sulle sorti sue e del governo.
Quelli destinati a pagare più tasse sono ancora i ceti medio- piccoli; e le società di comodo saranno sempre un rebus , senza una seria riforma fiscale.
Insomma siamo al battage pubblicitario per nascondere una grave ed irreparabile impotenza a riformare il sistema e a superare la demagogia.
Dietro il sorrisino di autosufficienza del giulivo Giulietto nazionale, Colbert in sedicesimo, si nasconde molta insicurezza sulle sorti sue e del governo.
Quelli destinati a pagare più tasse sono ancora i ceti medio- piccoli; e le società di comodo saranno sempre un rebus , senza una seria riforma fiscale.
Insomma siamo al battage pubblicitario per nascondere una grave ed irreparabile impotenza a riformare il sistema e a superare la demagogia.
sabato 3 settembre 2011
L' arroganza dei servi del potere
C’è gente che, per l’abitudine a servire i potenti, come la ‘ Lumachella della vanagloria ‘ di Trilussa, pensa di scrivere la Storia e di potersi permettere qualsiasi arroganza. In realtà l’ignoranza e la maleducazione sono insopportabili per qualsiasi padrone, il quale, una volta servitosi delle piccole persone, se ne libera al più presto. Non s’illudano i servi di professione, privi di senso del ridicolo e condannati alla solitudine e al disprezzo, di poter ottenere il seppur minimo vantaggio dalla prosternazione al capo e dalla piaggeria.
L’insensibilità per il bello non si concilia con un minimo di autocritica ed autoironia e si accompagna spesso alla totale mancanza d’intelligenza. Noi non accettiamo la politica politicante, per la quale nutriamo il massimo disgusto ed infine un’assoluta indifferenza.
Chi ha paura della bella donna?
Chi ha paura della bella donna?
Domanda difficile.
Ormai la pornografia dilaga e la volgarità ha superato ogni limite, ma forse, proprio per questo, è censurabile pubblicare l’immagine di una bella donna così come iddio la creò.
In Internet vedete tutte le brutture possibili ed immaginabili e paiono acqua fresca, ma se vi azzardate a pubblicare una foto innocente, che ritrae una donna nuda ed attraente per come la natura la conserva tra i profumi di rosa e le mille meravigie del mondo, salta all’occhio del censore l’anomalia e scatta il riflesso condizionato che il bello non va.
E’ troppo stridente con i gusti massificati, modellati da bemn altri esempi dal cinema, i giornali e la televisione.
Ora, volete dirmi che cosa di meglio si può offrire dell’immagine di questa donna alla vista pura del’uomo normale, che voglia sottolineare le sagge parole di Henry Miller sull’erotismo quando scrive:
‘Il sesso e’ una delle nove ragioni per la reincarnazione; le altre otto sono senza importanza’.
La prima ragione la ricordino i custodi del cattivo gusto è proprio lei: la bella donna.
[La foto è tratta da ''Figurines''- Ippophot ]
lunedì 29 agosto 2011
L'oroscopo
Ho un rapporto semi - conflittuale con i segni zodiacali e con l'oroscopo.
Fondamentalmente sono incredulo, ma a volte subisco qualche suggestione particolare, che m'induce a ricredermi.
Per esempio i miei occasionali incontri con persone appartenenti alla categoria dello Scorpione hanno avuto esisti disastrosi sotto ogni profilo ed in maniera inequivocabile.
Sono bastati pochi giorni, se non attimi, a rendermi consapevole della totale incompatibilità di carattere con gli esemplari di quella specie , specialmente se di sesso femminile.
E'quindi del tutto inutile ormai che io mi attardi con costoro per verificare se con l'accicendarsi delle costellazioni qualcosa sia cambiato nelle possibili relazioni.
Non voglio apparire un narcisista definendo ottimi, fin dalla più tenera età, i rendez-vous con gli amici e le amiche del Toro, a mio avviso tra i più fausti del disegno celeste.
Poiché siamo da pochi giorni nella sfera della Vergine, non posso sottrarmi ad accennare anche alla sua particolare posizione, nell'ambito dei miei interessi sentimentali. Non sono probabilmente del tutto obbiettivo nella valutazione, ma considero assai positivamente gli appartenenti a questo club zodiacale: ne fanno parte familiari e partner che hanno spesso arricchito il mio patrimonio di conoscenze. Essi sono creativi, pieni d'idee ed iniziative, sensibili sul piano degli affetti ed assai vivaci sul piano sentimentale.
Sono lieto ogni volta che ho la fortuna d'imbattermi in qualcuno di loro, avendo la consapevolezza, finora mai smentita, che si tratterà di una liaison amichevole, basata sulla fiducia e l'entusiamo, la stima e l'affetto sincero.
venerdì 26 agosto 2011
L'estate è un carnevale
Dal Manzanarre al Reno, si potrebbe dire, non è che un susseguirsi di feste e festicciole, con repliche delle sfilate di maschere del Carnevale.
Non v'è borgo sperduto dell'Italia turistica che rinunci alle sue esibizioni di maschere, magari importate da altri centri. Non mancano le notti bianche con negozianti impegnati a vendere di tutto, né cantanti o gruppi musicali destinati a strimpellare canzoni e canzonette inneggianti all'amore e all'allegria, volenti o no, i malcapitati che si trovano a trascorrere le vacanze in simili osti o i poveri abitanti stupefatti da tanto buonumore forzato in piena crisi globale.
I Comuni esultano spendendo denaro pubblico ed acquisendo il favore dei più sprovveduti fra i cittadini, che hanno bisogno di divertirsi, dimenticando gli affanni quotidiani per un reddito che si assottiglia sempre di più, a causa di un debito in crescita e dell'inflazione, quella sì, in ripresa.
Nessuno si chiede quale giovamento possano trarre le città da tutte queste iniziative da Circo Barnum, volte semmai ad aggravare la situazione economica e non a fornire, magari, servizi importanti per la collettività.
Siamo il paese delle scemenze.
Quando, tanti anni fa, l'Assessore Progressista Nicoliniconiò il termine effimero, per sottolineare la qualità degli interventi a favore della cultura, tutti si chiesero se fosse uno scherzo e se il prefato disinvolto politico romano c'era o ci faceva...
Poi, l'assuefazione allo sperpero, all'assistenza pubblica ad attori, guitti, sperimentatori e quante mai categorie dello spettacolo possano esistere, ebbe la meglio e nessuno si meravigliò più delle follie delle varie amministrazioni locali e regionali, che fecero a gara per buttare al vento i soldi dei contribuenti, in cambio del nulla assoluto.
La scuola di Nicolini era improntata al classico panem et circenses, ovvero alla politica delle brioches della povera regina Maria Antonietta (che, perlomeno, finì sotto la gligliottina), e si diffuse in tutta la nazione a macchia d'olio, divenendo un imperativo categorico per tutti gli amministratori degni di questo nome.
Il guaio più grave è che costoro, pur facendo parte della casta tanto vituperata, continueranno a prendere in giro il popolino e non finiranno mai con le teste mozze.
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