Come sarà stato l'amore nelle generazioni precedenti?
Qual era la concezione e la pratica di questo indistruttibile strumento di crescita ed emancipazione?
A sentire chi ha vissuto al tempo del rock, quello primigenio di Elvis Presley, Little Richard, Bill Haley, all'epoca di James Dean e del primo Marlon Brando, quando si ruppero gli schemi della società tradizionale con i figli che cominciavano la contestazione nei confronti dei padri (sia quelli appartenenti alla mitica e dorata società americana del way of life per un nuovo Eden, nato dalle ceneri della seconda guerra mondiale, e sia quelli che in Europa si rimboccavano le maniche, cercando d' imitare i modelli, un po' ingenui, del benessere d'oltreoceano, con la consapevolezza di dover conquistare con il lavoro ed i sacrifici senza soste ciò che sarebbe divenuto il miracolo economico della ricostruzione del dopoguerra,) l'amore si librava come una farfalla tra petali in fiore.
Il pudore abbassava i toni e si attestava sul minimo comun denominatore della libertà dei costumi moderatamente intesa.
Senza grandi clamori, avvolta in un'elegante discrezione, ma scevra da pregiudizi e convenzioni puritane.
I sentimenti avevano l'opportunità di manifestarsi più apertamente che in passato, con poche e semplici regole lontane dal perbenismo di maniera ed il sesso si conquistava con entusiasmo e gradualità, apprezzandolo come un frutto, al tempo stesso, proibito e prelibato.
Si svelava a poco a poco, assimilando le idee, non conformiste e liberatorie, legate alla scoperta dell'istinto vitale di uomini e donne che finalmente potevano ascoltare, senza tabù la voce della propria intima natura, così ben descritte da David Herbert Lawrence nell 'Amante di lady Chatterley.
L'amore al tempo del rock non aveva nulla di cinico e prevedibile. Si costruiva nella maniera più naturale ed il ritmo di quella musica, allegra, gaudente, ribelle e scatenata, era il segnale di una svolta epocale, unica nella storia del costume del novecento.
Nessuno poteva immaginare che avrebbe, poi, aperto le porte al sessantotto e alla demolizione degli ultimi rifugi dell'io, per fare spazio alla massificazione e alla banalizzazione, per instaurare l'omologazione e la globalizzazione del più positivo e creativo, rivoluzionario ed individualista dei sentimenti umani.
Forse era, quella del rock, la misura più equilibrata che la rivolta giovanile di quella generazione potesse acquisire e lasciare in eredità per un mondo più libero.
Ma noi, forse, non abbiamo saputo amministrarla come meritava.
Che bello il vecchio "Rock around the clock".